mercoledì 26 ottobre 2011

Altro che scuole Holden e Pseudoholden: ve lo do io il laboratorio di scrittura

Cliccate qui per il resoconto della quarta puntata di De natura mundi, cari, e vi autochirofagizzerete per non esserci stati.

Sto intanto preparando la quinta puntata. In proposito, frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania:
Alle ore 21.30 di domenica 30 ottobre, a Palazzo Lanza (corso Gran Priorato di Malta 25), vi aspetta Gli esordi del caos. Te lo do io il laboratorio di scrittura. La sala eventi della libreria Guida Capua sarà adibita a bottega di narrativa e poesia, con esempi pratici, tra excerpta e composizione dal vivo. Il titolo della puntata, Gli esordi del caos, è un omaggio ad Antonio Moresco (autore degli Esordi e dei Canti del caos, massimi capolavori della letteratura italiana degli ultimi decenni), del quale giusto quel giorno sarà il compleanno. Quanto al sottotitolo, Te lo do io il laboratorio di scrittura, è un gioioso sberleffo alle infinite scuole Holden e Pseudoholden fiorite per l’Italia.
La prima parte della serata, omette di dire il comunicato, si intitolerà O buon Apollo, salvaci dalla poesia mediocre!; la seconda Racconto, romanzo, opera mondo.

Ed è, naturalmente, tutto gratis.

Antonio Moresco e Marco Palasciano. Palazzo Fazio, 2009.

venerdì 21 ottobre 2011

Introduzione a una lectura Dantis

Palasciano, Palazzo Lanza, 2003.
Il testo bipartito che qui segue fu da me abborracciato il 22 e 23 gennaio 2003, tra una seduta in bagno e una seduta dal parrucchiere, per usarlo come introduzione alla lectura Dantis in diciotto puntate che si sarebbe tenuta quell'inverno-primavera a Palazzo Lanza (con tanto d'assoli per fagotto da me composti, settimana per settimana, ed eseguiti da Guido Mandaglio).

Mandaglio, Palazzo Lanza, 2003.
Domenica scorsa, 16 ottobre 2011, ho riciclato tale testo rendendolo parte d'un più ampio discorso su Dante facente parte, a sua volta, della lezione-spettacolo Viaggio al fondo dell'universo: dall'inferno di Dante al pianeta Abisso e fuga. Input e output poetici agli albori della nostra Ruota, terza puntata del seminario De natura mundi. L’interpretazione del mondo in ottanta giorni.


APPUNTI SCRITTI IN BAGNO

Dante ha bisogno d’una guida, per purificarsi. Non è cosa troppo cattofascista? L’individuo dovrebbe seguire sé stesso e basta, dice Krishnamurti.

Ma qui, per guida, s’intende probabilmente la memoria, la conoscenza degli uomini del passato, di quanto fecero nel bene e nel male. Una carrellata universale al termine della quale si avrebbero certo le idee piú chiare, ci si sarà purificati. Alta pedagogia che Dante voleva fosse di tutti (da qui l’uso del volgare). Infine, la cultura è l’arma da prendere contro il mare di guai che ribolle in noi, contro la «lupa» [Inf I 49], la pelle lupesca che ci è addosso, a mo’ di «falsa vacca» [Inf XII 13] di Pasifae, e di cui dobbiamo liberarci a colpi di lama.

Una pelle di lupa che è anche una crosta di fango, sporcizia divenuta terracotta, pietra. Si è lasciato che si posasse quella polvere su di noi, che si accumulasse, si incrostasse. Si era distratti, si guardava ad altro, si trascurava il sé. «O insensata cura de’ mortali…!» [Par XI 1].

Ecco, la Commedia focalizza la nostra attenzione lungi da «iura», «sofismi», e altri «difettivi sillogismi», per mostrarci la sua arte bellissima: ed è questa a educarci, infine, e non tanto il contenuto dell’opera, troppo cattolico per dirsi universale, troppo medievale per dirsi eterno. Universale ed eterna è, invece, la Commedia in quanto opera d’arte […].


APPUNTI SCRITTI DAL BARBIERE

Bisogna distinguere due tipi di selva: c’è la selva iniziatica, dove l’adolescente, nelle società primitive, viene lasciato da solo affinché impari a conoscere la complessità della natura, e la naturalità dell’essere complessi. La selva come specchio dell’anima, come strumento di autoriconoscimento, come diapason per accordare sé stessi all’orchestra dell’essere. Per infine ritornare al villaggio cambiàti, pronti per la vita adulta, alla gestione del labirinto della vita.

Da Tetsuo di Shinya Tsukamoto, 1989.
A parte questo tipo di selva, c’è l’altro: non teatro di autenticità, ma di sofisticazione; dove la complessità è senza ragione; il labirinto costruito dall’uomo che si allontana da sé stesso, che si perde dietro alle suggestioni dell’inautentico, dell’alienato. I falsi bisogni, gli inganni del potere, dei dogmi, di ogni follia istituzionalizzata. Tutto un gioco di specchi che però non ha nulla a che vedere con lo specchio limpido e vero rappresentato dalla prima selva, la natura maestra. Qui non ci sono maestri, ma solo mostri. Questa selva è il labirinto senza uscita in cui si ritrova, per esempio, l’uomo medio della nostra epoca allorché, distratto com’è, si lascia raggirare dagli spacciatori di verità assolute.

Un labirinto che, a cercare di risolverlo, si impazzisce: perché non è risolvibile. L’unica è spezzare le mura o, se la potenza del desiderio di liberazione è tale da superare i freni e le zavorre dei paralogismi incrostati, andarsene via a volo, scoprendo la terza dimensione.

E, una volta uscito dalla selva-labirinto della quotidianità alienata, l’uomo può finalmente entrare nell’altra selva, l’iniziatica, nella quale prima non era mai entrato, dal che la sua immaturità.

Tornando a Dante, la sua «selva oscura» cos’è? iniziatica o alienata? O addirittura ambedue? Alienata, poiché vi si è smarrito per errore, e non riconosce piú sé stesso; iniziatica, poiché attraverso essa e tutto ciò che la selva contiene (poiché inferno, purgatorio e paradiso, infine, si possono considerare tutti contenuti nella selva, cosí come tutto ciò che accade a Polifilo nel suo viaggio è contenuto nel suo sogno – e selva e sogno sono in fondo la stessa cosa: la metafora di una distrazione dal mondo solito, un allontanarsi dal mondo e ritrovarsi soli con sé stessi, dentro il mondo interiore che prima si era trascurato – e quindi, piú che una distrazione, una riconcentrazione, un concentramento), dicevo, attraverso la selva e i regni che essa contiene, Dante ritrova sé stesso e si purifica di ogni alienazione, avendole messe a fuoco una per una e avendo analogamente esperito le virtú contrarie.

Insomma la «selva oscura», e i regni che le seguono, sono, in uno, il male e il suo rimedio. In tal senso Dante è un omeopata dello spirito.

giovedì 20 ottobre 2011

In preparazione la quarta puntata di «De natura mundi»

Frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania:
Alle ore 21.30 di lunedí 24 ottobre, a Palazzo Fazio (via Seminario 10) vi aspetta un Viaggio al fondo dell’anima: una serata di giochi analitici e sintentici. Sullo sfondo del castello cristallino della ragione, e del circo in fiamme della follia, il pubblico potrà anche partecipare a una serie di giochi tanto divertenti quanto illuminanti: quiz, anagrammi, dadi enciclopedici, Quanto vali come essere umano?, dendrosintesi poetica, ritratti musicali e altro ancora.
Ecco, sto appunto preparando questo.

martedì 18 ottobre 2011

18 ottobre 2011

Solo una settimana fa festeggiavamo felici (vedi qui) il 90° compleanno di Andrea Zanzotto, e stamattina è arrivata la notizia agghiacciante.

Mi sento piuttosto abbattuto e non mi viene da scrivere niente.

Tranne che stamattina, per sbadataggine, ho urtato stortamente con le dita della mano destra (la quale già qualche anno fa ebbe incrinato un osso) un orlo di marmo, e mi sono fatto molto male.

Più tardi, saputo della morte del poeta, mi sono domandato se essa per caso, o meglio per sincronicità junghiana, non fosse avvenuta esattamente nell'ora di quell'urto: all'incirca le dieci del mattino.

E, in effetti (vedi qui), è possibile.

Uno spot in versi di Silvia Tessitore e un mio sonetto a commento

Lamentavo ieri, via Facebook, la scarsa affluenza di persone fisiche (vedi qui) alla terza puntata di De natura mundi; e stamattina Silvia Tessitore, in sua bacheca, non solo ha condiviso il link al programma del seminario, ma l'ha accompagnato colla graziosa stanza in endecasillabi e settenari che segue.
Mi giunge voce che lo Palasciano
– per troppi versi un genio,
indi per sua natura un incompreso –
minaccia lo supremo sacrificio
se le sue prolusioni van deserte.
Orsú, Caserta cólta,
lèvati dai tuoi ozi e vagli incontro,
ché De natura mundi è il suo sudore,
la tempra dei suoi nervi e del suo ingegno.
Vorresti maï tu pagargli in pegno
lo scrupol d’un’assenza indifferente?
Silvia Tessitore.

Grato e onorato, ho ratto commentato:
Son qui già pronto con la corda al collo,
la Tessitor non mente; alta è la trave,
tremante lo sgabello, ahi genti prave
che non faceste lo sperato affollo!

Ma ancor si può mutare protocollo,
nel senso opposto può girar la chiave,
in dolce canto volger l’urlo grave,
chi muor d’inedia vivere satollo.

Sorreggimi, o Caserta! Nulla vendo,
tutto è gratis; né sai che perdi, bada!
Perciò non fare come chi vedendo

pencolare un macigno lascia cada,
per strafottenza, e ch’esso con orrendo
fracasso scassi sé nonché la strada.

mercoledì 12 ottobre 2011

La natura di «De natura mundi»

A chi, letto il programma di De natura mundi, gentile oggi diceva «Non capisco: è filosofia o comicità o ambedue?», ho risposto – e qui, ché mi par utile, riporto – improvvisando lesto questo testo.

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Se ella ha presente la divina Commedia, non ho da farle altri esempi per spiegare la natura di De natura mundi: la filosofia deve toccare tutti gli argomenti, si sa, dai più alti ai più bassi. E destino di questi ultimi, tra l’altro, è essere oggetto d’ironia, più o meno feroce: ond’ecco la «comicità» che giustamente ella notava – in particolare quando ci si riferisca , per es.,
● alla «poesia mediocre» da cui «Apollo» deve salvarci, e in generale ai cattivi scrittori nonché attori («Te lo do io il laboratorio…»);

● o al(l’a me ormai invisissimo*) postmodernismo, massime quello dei nichilisti e dei dissacratori alla cieca, i cui discorsi sono spesso purissima aria fritta (vedi l’esperimento di Alan Sokal del 1996...), da me qui scimmiottata già tramite un titolo come Dall’estetica trascendentale all’anestetica trash-and-antani: mio Dior, come sono caduta in vascio!;

● o a Radio Maria, e al paraocchismo religioso tutto.
Per il resto vi sono cose altissime, dove l’ironia diminuisce e aumenta la poesia, e nelle quali metto tutto me stesso. C’è tutto il mio sistema di valori, maturato in una vita; ci sono i miei sforzi nelle arti, e sanno gli spettatori quanto non sono vani, né merdosi; c’è la meravigliosa sinergia di classicismo e futurismo; c’è l’enciclopedismo, la maieutica, l’amore universale non per dire; c’è il superamento, non l’esorcismo, del timore della morte; c’è il più sano divertimento; c’è anche la restituzione (se a qualcuno interessi) di “Cristo” alla sua umanità, indizio chiave il teatro; c’è la confisca al cristianesimo d’ogni pretesa di primato amoroso-messaggistico, considerata la natura fondamentalmente buona della nostra specie – ultimi studi** docent –, altro che macchie di peccato originale da stinger col battesimo; c’è la forma più sana d’antropocentrismo, premessa necessaria allo sviluppo del «nuovo Rinascimento» o quel che sia (e Astrea è già tornata, l’han colta gli astronauti dell’Apollo, sta solo aspettando in un appartamentino l’ora d’andare alla gran festa); c’è tutto quello in cui credo, e che volgo in pratica quotidianamente; c’è il mondo, insomma, visto attraverso gli occhi di un genio: genio, per giunta, d’umiltà immensa. Che può di più volersi? è pure gratis. :D

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* Di antipostmodernismo pure tratta un recente articolo dell'amico e sodal Daniele Ventre: La miseria della postfilosofia.

** Vedi per es. Robert Frank, Passions Within Reason: Tre Strategic Role of the Emotions, W.W. Norton, New York, 1991 (cit. a pag. 121 di Mark Buchanan, L'atomo sociale. Il comportamento umano e le leggi della fisica, trad. Massimo Parizzi, Mondadori, Milano, 2008).

martedì 11 ottobre 2011

Bozza di locandina per «De natura mundi»

Durata circa due ore, la seconda lezione-spettacolo del seminario De natura mundi (consistita nella seconda e ultima parte di De Magna Rota Rerum Humanarum, un condensato del seminario dell'anno scorso) si è tenuta iersera a Palazzo Fazio, davanti a una dozzina di degni spettatori. La prossima lezione (tutta nuova), Viaggio al fondo dell'universo, si terrà a Palazzo Lanza domenica 16 ottobre. Ecco intanto qui sotto, fresca fresca, la bozza della locandina col programma completo; cliccare per ingrandire.

Per la solenne commemorazione della nascita del «Servus Musæ» A.Z.

Il testo che segue – andato in scena il 10 ottobre 2011 a Palazzo Fazio – è parte d'un mio discorso sull'arte che è parte a sua volta d'un capitolo (VI. Arte vs Burocrazia) della lezione-spettacolo in due parti l'una tenuta il 2 ottobre e l'altra il 10 De Magna Rota Rerum Humanarum: la sistemazione delle pratiche e dei valori umani nella Ruota palascianiana, parte a sua volta del seminario De natura mundi. L’interpretazione del mondo in ottanta giorni.

Il paese del poeta. Foto emersa dal web e rielaborata
(l'originale appare in vari siti, tra i quali terremagiche.it).

PER LA SOLENNE COMMEMORAZIONE
DELLA NASCITA DEL SERVUS MUSÆ A.Z.

Se avessi tempo ora tratterei della mia teoria sulla classificazione delle arti, ma sarebbe lungo e complicato; e a compattarlo, un tale schematizzare apparirebbe forse troppo burocratico.

Preferisco, in ogni caso, ora, parlarvi d’un artista. Un poeta. Il massimo poeta italiano vivente. Che giusto oggi, 10 ottobre 2011, compie novant’anni.

Quattordici anni e mezzo fa, nel 1997, qualche giorno prima di Pasqua, mi trovavo in Veneto, nel trevigiano, presso una coppia d’amici campani là provvisoriamente emigrati, Enzo e Margherita.

Fin dalla mia partenza da Capua avevo avuto in animo di far visita, con l’occasione, a quel poeta nato nel 1921 e sempre vissuto nel suo paesino prealpino circondato da colline e distante poco meno di un’ora di viaggio da casa dei miei ospiti.

Martedí 25 marzo il Sole era in tripla congiunzione con Venere e Saturno: trionfo di senile saggezza e di dolcezza, se credete in tali cose. Quanto a cose piú terrene, quel giorno la linea ferroviaria Udine-Treviso si trovava interrotta, causa rimozione ordigno bellico.

La guerra. Il poeta era stato partigiano. E per il resto maestro di scuola, incline alla malinconia e per essa cercando conforto nelle scienze della psiche (prediligendo le teorie di Lacan, per il quale l’inconscio è strutturato come un linguaggio) oltreché nella poesia. «La poesia», che, com’egli dirà in un’intervista del 2011, «è sempre piú di attualità, perché rappresenta il massimo della speranza, dell’anelito dell’uomo verso il mondo superiore».

Da Montebelluna erano cinquanta minuti d’autobus, in partenza alle dodici e dieci, a bordo del quale avrei pranzato con un panino assemblato in fretta prima d’uscir di casa. Nello zainetto avevo anche un uovo di Pasqua: me l’ero portato per regalarlo al poeta, autore fra l’altro delle famose Pasque.

All’una del pomeriggio giunsi finalmente a Pieve di Soligo. Nel primo bar che trovai domandai di Andrea Zanzotto, e dalla barista mi fu detto che proprio lí lui veniva a prendere il caffè tutte le mattine, verso le undici! E additò il tavolino. Ora Zanzotto era a casa, e avrebbe pranzato, e probabilmente poi dormito un po’; la signora consigliava di bussargli dopo le tre e mezza del pomeriggio.

Avevo dunque un paio d’ore di tempo da perdere, e per cominciare individuai la casa del poeta. C’era un giardino fiorito, con tavolini e sedili. Era tutto aperto. C’erano un’auto e due biciclette bianche. Nel giardino tra l’altro presenziavano certi fiori gialli, in cespuglio, onnipresenti nei dintorni; forse forsizie.

Tornai per ora indietro. C’era il fiume Soligo, dalle acque bassissime e trasparenti, con le alghe stanziali a scompigliarsi in balia del flusso. Nell’aria due rondinotti si rincorrevano. C’era un ponte, dai balaustri a pedoni degli scacchi, e, sotto, un greto di ciottoli bianchi come ossa, con sú tante foglie cadute sebbene non fosse autunno. L’ombrosa arcata mi parve uno scenario di teatro atro atto a farne sbucare la barca di Caronte.

C’era poi un campanile altissimo, appuntito, puro come un’astrazione matematica, faccia da cicogna. C’era la chiesa madre, con guglie un po’ frattali, ciascuna piantata su quattro colonne il cui vano imprigionava una statua di non so quale e qual altro cittadino del paradiso.

C’era un vecchio mulino, presso un Centro d’arte La Roggia, con la sua ruota nera dalle pale stortarelle che girava e girava, come una scala mobile, riciàf, riciàf. Mi avvicinai, e fui tra aiole («Vietata la circolazione ai cani»; ah, talvolta Zanzotto inserisce disegni di cartelli nelle sue poesie); ed ebbi il ponte di fronte, nel paesaggio bianco argenteo. Luoghi che avrei potuto aver sognato. L’acqua ruscellava e risonava. C’era odore d’acqua nell’aria, un odore verde.

Sparsi ai miei piedi erano gli strobili di non so che conifere. Per tre quarti di secolo, pensai, Zanzotto aveva vissuto, in quei luoghi; e io ora in un istante solo abbracciavo-analizzavo con gli occhi tutti i tronchi muscosi. L’albero maggiore, con qualche ragnatelo negli incavi, recava sulla corteccia il disegno giallo di un cuore siglato dalle lettere N ed E. Dal campanile aguzzo vennero i rintocchi delle due.

Da presso il municipio, notai, era una discesa; e scesi sotto il ponte, per camminare sul greto. Risalito entrai a visitare la chiesa, di Santa Maria Assunta, coi suoi decori giocattolosi, mentre di fuori i giardinieri rasavano i prati («di lappole»?). E là dentro lessi da qualche parte:
Servi Dei Iosephi Toniolo viri laici…
Ma soltanto anni dopo, rileggendo il diario che – in mancanza di macchina fotografica – là ero andato scrivendo passo passo, mi sarei reso conto che quel «Servo di Dio», quasi Beato, lí, quel Giuseppe Toniolo (tra l’altro fondatore, nel 1907, del periodico «La settimana sociale dei cattolici italiani»), doveva essere stato il G.T. che ispirò a Zanzotto l’anticlericaletta poesia del 1960 ca. Per la solenne commemorazione della morte del «Servus Dei» G.T.

Alle tre tornai presso la casa del poeta. Dove intanto un’altra porta era stata aperta; era proprio tutto aperto. Non c’era piú una delle due bici, ma si era aggiunto un motorino, anch’esso bianco. Aspettai una mezz’ora risfogliando, trattili dallo zainetto, i due libri che m’ero portato per farli autografare (fino ad allora l'unico mio autografo era stato quello di Peter Greenaway), Il Galateo in bosco e l’Oscar delle Poesie, rileggendo tra l’altro l’ecloga Lamenti dei poeti lirici, dove un poeta interroga la Musa, e di cui ecco un pezzetto (qui Lazzaro è il mendico della parabola, non il risorto):
Chiedono, implorano, i poeti,
li nutre Lazzaro alla sua mensa,
come cigni biancheggiano.
Invocano l’amata
l’iddio la pia vittima le orme
che s’addentrano al simbolo
(morí quel simbolo, morí).
Nomi hanno, date con interrogativo,
schede, schemi,
cadaveri com’elitre
in oniriche antologie.
Perfettissimo pianto, perfettissimo.
Si fece l’ora di bussare. Il campanello esterno era guasto; ce n’era un altro, piú interno, ma non osavo violare quello spazio senza invito; cosí tornai al bar per telefonare. Andrea Zanzotto rispose.

Disse che era in partenza per Milano, e di non avere tempo per una visita; ma io gli dissi che mi sarebbero bastati solo cinque minuti, d’orologio.

Aveva manine pelose, un viso antico, un’espressione dolce; in testa un cappellino da puffo o un berretto frigio, ma color verde; e mi parve d’animo cosí amabile e gentile che pensai: da vecchio voglio essere cosí.

Sedemmo su un sofà verde. (Il verde: il suo colore preferito; «il verde altissimo / il ricchissimo nihil»…)

In quei cinque minuti, richiesto d’un parere sul mondo contemporaneo, si dolse del degrado del paesaggio, e, in piú, del regredire dei servizi pubblici, in loco soprattutto, come gli ospedali, o i trasporti, carente la linea d’autobus e lui patendo già i suoi senili acciacchi. Disse che era assurdo misurare il benessere di una nazione da cifre come quella del prodotto interno lordo. Si dolse, pure, della bassa natalità, da cui il mesto fenomeno delle tante case enormi e vuote. Quanto alla politica, avendo visto all’opera Norberto Bobbio ai tempi suoi, aveva ora ben di che criticare Fausto Bertinotti, mentre nutriva sufficiente fiducia nel [ricchissimo nihil del] PDS…

Nel congedarmi, infine, gli consegnai il mio uovo di Pasqua, accompagnandolo colla chiosa, quasi a scusa, che noi del sud, quando facciamo una visita, usiamo recare di tali omaggiucoli. E compiuta cosí la mia missione, feci anche in tempo a prendere l’autobus delle sedici e dieci per Montebelluna, l’ultimo a me utile; e lí a bordo mi dissi:

— Perfettissimo viaggio, perfettissimo.

*
*      *
Vi leggerò ora per intero qualche poesia di Andrea Zanzotto.

Si noti come in esse, in base alle necessità espressive, il poeta mescoli piú o meno babelicamente le piú disparate lingue, linguaggi e stili, dal balbettío dei bimbi all’algebrío della scienza, passando per dialetti, latinismi, echi di canzonette, citazioni dei classici e via cosí. Zanzotto difatti appartiene alla schiera degli autori per i quali il monolinguismo è cosa aliena, vale a dire alla linea dello sperimentalismo glossoplastico svisciolatosi dal medioevo fino all’evo dei media, passando per Dante, la Hypnerotomachia Poliphili, Folengo, Basile, Maggi, Porta, Dossi, Faldella, Imbriani, Pizzuto, Gadda, Pasolini, Testori, D’Arrigo, Mastronardi, Meneghello, me e non so chi altri, per restare all’Italia; ché poi ci sono anche, ovviamente, Rabelais, Sterne, Carroll, Joyce ecc.

La prima poesia che leggerò, 13 settembre 1959 (Variante), è una sorta di litania infinita dedicata alla luna, che quel giorno era stata toccata per la prima volta nella storia da un oggetto di fattura umana, la sonda sovietica Lunik 2: evento che a parer di Zanzotto (meno incline di altri a entusiasmarsi per le meraviglie della tecnica) poneva fine, di fatto, alla poeticità dell’astro.
[Lettura di 13 settembre 1959 (Variante).]
La seconda poesia è Oltranza oltraggio, il cui argomento è la sfuggevolezza della Musa, che salta e «saltabecca» di qua e di là…
[Lettura di Oltranza oltraggio.]
La terza è L’elegia in petèl, che ha qualche passo nel linguaggio usato coi bambini da mamme e tate, appunto il petèl, e che giuoca colle contraddizioni per prendere in giro le false certezze della quotidianità ecc. (Nota: «Scardanelli» era lo pseudonimo usato da Hölderlin nelle sue ultime poesie.)
[Lettura di L’elegia in petèl.]
Per finire, leggerò d’un sol fiato tre pezzi da Il Galateo in bosco, silloge dedicata al bosco del Montello, dove Monsignor Della Casa componeva aulici sonetti nel mentre che progettava il celebre manuale suo di belle maniere, e dove qualche secolo dopo si consumarono le spaventose stragi della prima guerra mondiale. Questi i pezzi:

● un sonetto, dove ci si rivolge prima all’Italia e poi alla forma stessa del sonetto;
● alla pagina appresso, una doppia epigrafe in prosa, composta da un frammento pubblicitario piú un appunto su una possibile proposta di libro educativo;
● alla pagina appresso ancóra, infine, la poesia in dialetto (E po’, muci) – cioè (E poi, silenzio!) – che tradotta suona cosí: [lettura della traduzione].
[Lettura di POSTILLA – (Sonetto infamia e mandala), «Piú propriamente…» «Un libro da proporre…» ed (E po’, muci).]

venerdì 7 ottobre 2011

Nonna Immacolata e i sogni di Dio

7 ottobre 2011: oggi sono venti anni dalla scomparsa di Immacolata Cardillo (1903-1991), mia nonna paterna e, come detto domenica scorsa durante l'introduzione a De natura mundi, «persona che piú ho amato nell’infanzia».

Portale della casa antica,
in una foto del 1992.
Dal 1968 al 1973 ho vissuto con nonna Immacolata e i miei genitori, là al secondo piano di tre d'un palazzo del tardo Settecento di proprietà degli eredi del secondo Ferdinando Palasciano nato in Capua (il celebre prozio medico era stato il primo; mio padre fu il terzo e ultimo). C’era un giardino cinto da alte mura, con limoni più o meno montaliani, e una pergola d'uva sul garage-torretta; e finestre e balconi s’affacciavano su lì e sulla strada, via Lorenzo Menicillo (alto prelato d'epoca barocca); dov’era pure, senza soluzione di continuità col palazzo nostro, un convento di, per fatalità, immacolatine.

Geranio su un balcone della casa
nuova, in un disegno del 1976.
Poi la triade padre-figlio-madre si spostò fuori del centro storico, negli arborati pressi della stazione, al settimo e sommo piano di un arioso condominio modernissimo. Quanto a nonna Immacolata, visse ancora per qualche tempo nella casa antica, col vecchio gatto bianco, e poi dalla sorella sarta, la buona zia Maria, dove pure l'andavo a trovare, io ormai liceale.

Il palazzo di via Menicillo, venduto nel 2000 e rimodernato;
prima non era bianco. Foto del 2009, tratta da Google Earth.

Il liceo era finito da un paio d'anni quando a séguito d'una frattura al femore accogliemmo la nonna in casa nuova. Pochi anni dopo morì, il 7 ottobre 1991. Ed esattamente vent'anni dopo, nello studio che è stato la sua stanza, sotto il planisfero orteliano, mi trovo ad avere or ora concluso la stesura del programma del seminario a lei per concomitanza consacrato, De natura mundi, iniziato questa settimana.

Sarà bello per ora e qui concludere con un lapsus pronunciato un giorno dei suoi ultimi anni dalla nonna, meraviglioso, impressionante oracolo:

— Io spero che il Signore t'aiuti a realizzare tutti i suoi sogni.

lunedì 3 ottobre 2011

Introduzione a «De natura mundi»

Si riporta qui di séguito, per intero, il testo del discorso introduttivo al seminario De natura mundi, discorso da me tenuto nella serata di ieri, a Palazzo Lanza, ad apertura dell'evento. Dopodiché si è tenuta la prima parte, della durata di circa un'ora e mezza, della lezione-spettacolo De Magna Rota Rerum Humanarum. Gli spettatori di questa prima puntata sono stati una quindicina: il quadruplo del previsto, più o meno. Non disponendo di fotografie a documento della lezione, ne utilizzerò qui una del 2010, opera di Patrizio Cimmaruta, che mi ritrae con sullo sfondo la Ruota palascianiana, pure iersera usata. Questo qui sotto, intanto, è l'esterno del Trittico delle delizie di Hieronymus Bosch, eletto a emblema di De natura mundi.


INTRODUZIONE
A DE NATURA MUNDI. L'INTERPRETAZIONE
DEL MONDO IN OTTANTA GIORNI
Capua, 2 ottobre 2011

Gentili signore, signori ed eventuali robot,
sono Marco Palasciano, mezzosangue capuano-siciliano, pensatore eclettico, artista multidisciplinare, umilissimo Presidente dell’Accademia Palasciania fondata nel 1999. E innanzitutto vi ringrazio per la vostra presenza. Grazie, tante nella misura in cui fu lungo e accidentato il vostro viaggio per raggiungere questa sala; del che speriamo di potervi dare consolazione con la nostra arte, per quanto essa sia modesta e fallibile. Pure ringraziamo il palazzo che ci ospita, e i suoi padroni, di cui siamo servi.

Ma oltre a Palazzo Lanza, quest’autunno a ospitare le nostre lezioni-spettacolo sarà anche Palazzo Fazio; ed è forse la prima volta nella storia che le due roccaforti della cultura capuana contemporanea, Palazzo Fazio e Palazzo Lanza, sono coinvolte in un medesimo, unico megaevento lungo, vasto, ambizioso e (credeteci) meraviglioso come questo che la nostra accademia «di nulla accademia» ha per voi organizzato. Tutto gratis. Solo per amore. Senza trucchi né pentole in offerta.

Introduciamo dunque il seminario. Titolo: De natura mundi. In italiano sarebbe: Sulla natura (o l’essenza costitutiva) del mondo (o dell’universo). Del quale si proporrà una interpretazione (vedete voi se in senso attoriale o filosofico o ambedue i sensi), interpretazione per quel che sia possibile completa (benché non proprio ad altissima definizione), in dodici lezioni-spettacolo – tenute da me – distribuite nell’arco di ottanta giorni, come il Giro del mondo di Jules Verne. Difatti il sottotitolo del nostro seminario è L’interpretazione del mondo in ottanta giorni. In luogo di ciò, sarebbe stato forse piú aderente alla sostanza del discorso – ma, probabilmente, tanto ostico da scoraggiare il popolo – un sottotitolo come Il giro della mia Weltanschauung in ottanta giorni. «Weltanschauung» è la «visione del mondo», nel gergo dei filosofi; e in effetti, quel che farò da qui a Natale o quasi sarà parlarvi della mia visione del mondo, da Dio alla merda e ritorno – poeticamente parlando – o in altro ordine.

La mia visione personale del mondo, dicevamo. Ma – poiché la mia umile persona, nell’opinione unanime dei dotti, è un homo universalis tipo Leonardo o Goethe – si tratterà di una visione interessante piú di quella, come oso sperare, del vostro vicino di casa (a meno che abitiate in un Tardis parcheggiato in un vicolo di Königsberg). E a un tanto interessante contenuto vedremo di associare degna forma, dunque di divertirvi, e di commuovervi, quanto meglio si possa, grazie alla messa in opera, all’occorrenza, di tutte le risorse linguistiche ed artistiche che il Karma o quel che sia ha messe a disposizione del nostro ingegno, dalla poesia al teatro alla musica ecc.; e, scordavo, faremo anche dei giuochi. (In quanto a mezzi tecnici, qui abbiamo un proiettore ed a Palazzo Fazio un pianoforte.)

Nel corso delle dodici puntate di De natura mundi, vedremo inoltre di celebrare il piú degnamente possibile le ricorrenze che capiteranno in quei giorni. Come il compleanno di Andrea Zanzotto, massimo poeta italiano vivente, che coinciderà con la prossima puntata; o dello scrittore, nato un 30 ottobre, Antonio Moresco, l’autore di Canti del caos, quantomeno il maggiore romanzo degli ultimi trent’anni, in Italia se non in Occidente. Ma si commemoreranno anniversari anche piú personali, se acconsentite, come il trentacinquesimo della mia prima opera letteraria, una serie di filastrocche che scrissi a otto anni, nel novembre del 1976; o come il ventesimo della morte della persona che piú ho amato nell’infanzia, la mia nonna paterna, spentasi in un ospizio di Castel Volturno il 7 ottobre del 1991, data che per ciò stesso segna anche la fine della mia lunga infanzia. Ecco: metterò insieme questi due elementi, la nascita della poesia su carta e la morte della poesia incarnata, in un angolo loro di una puntata dedicata – come dire? – alle memorie del mondo, ai mondi della memoria… Temi, peraltro, che abbiamo già toccato solo otto giorni fa, sempre qui a Palazzo Lanza, in occasione dell’evento S’i’ fossi poeta cangerei ’l mondo, dove come gli altri poeti convenuti ho tenuto una dissertazione sul tema Può la poesia cambiare il mondo?, e ho concluso sull’idea di letteratura come pilastro della civiltà. Parafrasando Foscolo: i monumenti, i sepolcri possono essere cancellati dal tempo, fino a che non resti piú una pietra; ma la poesia può continuare a eternare le gesta di quegli uomini e donne, e soprattutto il loro significato.

«Significato»: questa parola – venendo finalmente alla lezione di stasera – è anche il nome che, nel corso dei miei ultimi studi, ho assegnato a uno degli otto settori in cui possiamo dividere, fondamentalmente, il mondo degli interessi umani. Otto; e ognuno di essi può dividersi, ulteriormente, in due; e fanno sedici. Significato si dividerà allora in Filosofia, da un lato, e Cultura e comunicazione, dall’altro. Parimenti la Bestialità si dividerà in Selva e Trogolo, a seconda se si sia “lupi” e “leoni” o, piuttosto, “porci” e “pecore”. Parimenti il settore Scienza e tecnica si dividerà in… Scienza e Tecnica. E cosí via.


Ora, questo giocattolo filosofico è la Ruota palascianiana. Si compone appunto di sedici settori. (Della versione a otto, e delle varie versioni a quattro, e di quelle a due, tratteremo la prossima puntata, a fine lezione, a mo’ di ciliegina sulla torta.) Come avrete capito si tratta d’uno schema circolare – a torta, appunto – atto a sintetizzare nella sola propria immagine, facilmente rammemorabile per sequenzialità e simmetria, l’intero mondo degli interessi umani, cioè la gamma completa delle pratiche umane e dei valori correlati. Uno schema sul quale forse non tutti potranno essere d’accordo, ma intanto rivelatosi abbastanza efficace come macchina generatrice di spunti di riflessione.

L’autunno scorso questa Ruota è servita da base per un ciclo di otto lezioni – tenutesi a Palazzo Fazio – nelle quali di volta in volta si affrontavano (non dico come pugili su un ring, ma quasi) due settori tra loro diametralmente opposti. Nella prima e seconda puntata di De natura mundi riproporremo tale formula, prendendo il meglio degli argomenti trattati allora, per poi passare a nuove trattazioni nelle puntate dalla terza in avanti.

Titolo di questa prima, propedeutica coppia di puntate: De Magna Rota Rerum Humanarum: la sistemazione delle pratiche e dei valori umani nella Ruota palascianiana. Stasera a Palazzo Lanza la prima parte, e tra otto giorni a Palazzo Fazio la seconda parte. Iniziamo.

I nudi risultati d'un sondaggio, e relative fette di formaggio

Scrivevo sette mesi e mezzo fa: «Benvenute, o anime gentili! Nella colonna sinistra troverete il sondaggio Quale argomento v'interesserebbe di più veder trattato? Rispondete, cliccando sul cerchiuzzo a lato del vostro argomento preferito, e avrete contribuito a organizzar gli eventi futuri dell'Accademia Palasciania. Grazie».

I sedici argomenti erano quelli degli altrettanti settori della Ruota palascianiana. Dandom'uggia l'idea d'attender oltre, ieri ho chiuso il sondaggio, sebbene appena trentanove utenti in tutto l'universo e in tanto tempo m'abbian degnato d'una rispostina. Ond'ecco il risultato:

8 punti all'Arte.
6 punti a Eros e affettività.
5 punti alla Filosofia.
3 punti a Scienza, Gioco, Crimine.
2 punti a Cultura e comunicazione, Tecnica, Magia, Religione.
1 punto a Mercato e politica, Burocrazia, Selva.
0 punti a Ordine e filantropia, Trogolo, Repressione.

Accorpando i settori a due a due:
11 punti ad Arte e gioco.
7 punti al Significato.
6 punti all'Umana armonia.
5 punti a Scienza e tecnica.
4 punti a Religione e magia.
3 punti alla Violenza innaturale.
2 punti all'Alienazione.
1 punto alla Bestialità.

domenica 2 ottobre 2011

Napoli, 1° ottobre 2011

Che bella mattinata e pomeriggio ch'ò trascorsi a Napoli quest'oggi! Dalle 10.17, ora d'arrivo del regionale da Capua, alle 17.38, ora di ripartenza, almeno nella teoria. Sette ore luminose di sole, amore (spirituale) ed input culturali, in occasione d'un pranzetto a tre fin troppo rimandato!

Il primo degli otto
tomi oggi reperiti.
Dell'avere sfidato ansia e statistiche diarroiche, e preso il treno solo soletto, il Karma m'ha tra l'altro premiato facendomi incorrere in un reperimento meraviglioso: presso una rinomata libreria di Port'Alba, nell'attesa che Rosa tornasse dalle poste, ho pescato ben otto volumi della serie Le letterature del mondo, Sansoni/Accademia; talché d'essa la Biblioteca Palasciania possiede ormai cinquantaquattro tomi su cinquantasei, e ne mancano solo quello sulla letteratura francese dal Romanticismo al Novecento e gli indici. O gioia!

Più tardi abbiamo pure visitato un paio di basiliche famose, quella medievalosa di Santa Chiara (già vista, se memoria non m'inganna) e quella baroccosa di...

— Come si chiama questa chiesa?
Gesù Nuovo.
— Che combinazione: si chiama come la piazza qui di fronte!

Urania su un sarcofago del
II sec., Museo del Louvre.
E che grandeur! Che architettura onirica! Quegli aurei spazi! Quei pilastri immensi! Quella Vergine in piedi sul globo del cosmo, ond'io a pensare alla musa Urania! Quante tombe pre-editto di Saint Cloud, sotto i nostri cauti piedi! Quanti ex voto d'argento inchiodati su muri e volticciòle!... Ma soprattutto che poesia, svoltando, sistemato in due stanze, il mobilio di Giuseppe Moscati: il letto, la poltrona dove morì sereno all'improvviso dopo una veramente santa giornata a dare aiuto a poveri malati, le librerie coi libri, lo scrittoio...

Poi, usciti*, mentre dentro si battezzava un bimbo che tra anni leggendo questo blog trasalirà, e per premiarmi si sbattezzerà, ho acquisito il numero d'ottobre di «Le Scienze» e ci ho trovato almeno un paio di spunti freschi utili al bel seminario che – non so se sapete – parte domani sera: De natura mundi. L'interpretazione del mondo in ottanta giorni. Al quale s'accenna nel verso 2 del sonettaccio d'occasionissima che in duplice copia, quest'oggi, in pizzeria ho ai miei amici consegnato:


SONETTO TARDIVO
PER I COMPLEANNI DI CARMINE E ROSA
Pur se mancano ormai sol poche ore
a De natura mundi, lectio prima,
ci tengo a dedicare qualche rima
a voi – ch’oggi vedrò – con tanto amore.

Te, Carmine, e te, Rosa: Poesia e Fiore!
non qual questa poesia ch’è senza lima,
fiore di carta che la vostra stima
diminuirà nell’arte dell’autore…

Io sono il can che porta un osso al bimbo
suo padrone, e voi in due quel bimbo stesso.
Fa schifo, sí, ma è tutto ciò che avea

quel cane questo dono. Or voi nel limbo
non lasciatemi: dite presto, adesso,
se voi m’amate ancor, mio dio! mia dea!

* Rosa, ciò letto, ratta mi corregge: «A onor del vero la rivista l'hai presa prima di entrare in chiesa, non dopo».