P. «Stanotte non ho dormito per la rabbia di come […] tanti che [per mesi e mesi] ho tanto pregato non sono venuti [allo spettacolo del 13 ottobre]. Alcuni erano a letto con la schiena spezzata o quasi, e va bene. Altri avevano impegni improrogabili. Poi ci sono quelli cui semplicemente non interessano le cose ch’io faccio, si suppone […]».
X. «[…]»
P. «Certo non si può cavare sangue da una rapa, e allora cosa resta da fare? Rassegnarsi, [mandarli al diavolo,] chiudersi nella turris eburnea a scrivere sol per Dio. […] Ora capite perché ho detto fin dal principio che questo era un addio alle scene. Sapevo come sarebbe andata. Ma [Nova] era da fare. Ed è stato fatto. […] L’esperienza si può considerare chiusa in positivo, fondamentalmente, e adesso non mi resta che ricavare da essa un libro».
X. «[…]»
P. «Ma [resta] anche la rabbia verso coloro che avrebbero potuto esserci e non c’erano, rabbia per come sono persone tanto peggiori di come le credevo, da preferire il nulla a me, i divertimenti piú bassi e volgari, ai quali si precipitano senza storie… fregandosene completamente del fatto che io li avevo pregati di venire almeno questa volta, una volta e basta, ca***, e che sarebbe stata l’ultima possibilità di vedermi sulla scena prima che io, levatomi il dente della promessa fatta, mi rinchiudessi nel mio “eremo”. Ma va bene cosí, almeno mi sono disilluso e non ricascherò nell’illudermi sugli altri a tal punto. Ho veramente sopravvalutato tali persone, e se ora sto male è piú colpa mia che loro, appunto per averle sopravvalutate. Il male passerà. Però nel frattempo, finché il male non passa, il mio unico pensiero è come [castigarli]. E questo mi avvelena. Servirebbe un contravveleno. Ma quale?»