venerdì 11 maggio 2018

Anche questo era un post di Facebook, ma da tempo trascuro di specificarlo

Quest'oggi a mezzogiorno, andando in retromarcia, distrattamente ho distrutto uno specchietto laterale della mia povera vecchia auto contro lo spigolo d'un furgone scoperto.

Che tristezza!

Ma uno slavo barbuto e fraterno, dei tre che – proprio allora ultimate le loro mansioni mattutine lì in cortile, non so quali – erano in via di smontare dal lavoro e montare sul furgone, sua sponte ha rimontato, raccoltolo da terra, l'elemento riflettente; il resto era tutto spaccato, mutilato, deformato (spiegavo intanto, mogio e rassegnato, che ero sovrappensiero – da cui la distrazione-distruzione – per certe visite mediche da fare); quanto al furgone, come un robot da combattimento che si scontri con una farfalla di balsa, non s'era fatto niente; né quelle anime gentili ci hanno badato più di tanto.

Si sono invece curate, eorum sponte, anche di far da guida al resto della mia manovra, pur se non v'era bisogno, fin segnalandomi le auto transitanti fuori il cortile che lasciavo.

Più tardi, di ritorno dalla farmacia, in cortile ho incontrato dei cari vicini (da sempre premurosi sia con me sia, quando c'era ancora, mia madre) che mi hanno offerto del nastro adesivo, per tener meglio insieme il povero specchietto; e mi hanno regalato tutto il rotolo, tanto – hanno detto – l'avevano comprato per sbaglio.

Infine, sono stato contento dell'incidente, perché così ho potuto ricevere le gentilezze degli slavi e dei vicini (analogamente, quando i carabinieri mi fermano per controlli di routine mi sento confortato, perché è pur sempre un contatto umano); e lo specchietto è ancora, incredibilmente, funzionante.

Restano solo due dubbi: (1) gli slavi erano polacchi o albanesi? avrei voluto saperlo per scriverlo nel mio diario; e: (2) sopravviverò a questi giorni, a questi mesi...?

Come che sia, nell'andare alla visita medica di oggi – intorno alle 17.00 – dopo aver parcheggiato ho passeggiato, per raggiungere lo studio dello specialista di turno; e, pensando all'eventualità di dover morire o semimorire, m'è parsa più che mai miranda ed epifanica la città mia natia, a percorrerne i vicoli e le piazze, tra le arcate e i giardini, i bassorilievi antichi incastonati nei palazzi medievali, sui tetti delle chiese più alte gli arbusti selvaggi – e fioriti, di strafottenti fiori purpurei –; qui il busto del più grande musicista capuano dell'Ottocento, lì la statua del re spagnolo più malaticcio e strampalato del barocco; e su tutto una luce aurea, aionica...

Insomma, che bellissima giornata, per quanto la mia vita sia mezza disperata.

martedì 8 maggio 2018

La lezione più difficile della mia vita

Non sono mai stato tanto stressato in vita mia quanto nelle ultime settimane. E credevo che il peggio fosse stato la preparazione della decima puntata, ma non avevo ancora toccato il fondo. Dopo undici giorni chiuso in casa a lavorare anche 16 ore al giorno e con fretta disperata, finendo tutto all'ultimo minuto, domenica scorsa ho aperto l'undicesima puntata di Dal Paleolitico a Palasciania, davanti a undici scelti uditori, senza sapere se sarei riuscito a chiuderla.

A un certo punto della lezione ho avuto un'ampia fotopsia verdastra, persistente un numero inquietante di secondi, sulla rètina di non so quale dei due occhi; o forse è stato un fenomeno vasopressorio del microcircolo cerebrale; e non so come non mi sono lasciato prendere dal panico e ho continuato la lezione come niente fosse.

Poi, a un cert'altro punto, sentendomi sul punto di collassare fisicamente, mi sono dovuto sedere, mi hanno porto dell'acqua e quasi si è dovuta sospendere la lezione. Ma mi sono sforzato, continuando a declamarla da seduto finché non mi sono sentito, una decina di minuti dopo, abbastanza in forze per tornare al leggio.

La lezione, di inusuale lunghezza, è durata circa tre ore, senza contare i due intervalli; e mi ha prosciugato di ogni energia fisica e psichica, anche perché fra i suoi vari argomenti ve ne erano di personali e dolorosi che non avevo mai rivelato a nessuno o quasi, e che ho deciso di tirar fuori solo in occasione di questa sorta di rito, di inventario rituale, che è l'attuale laboratorio di storia e microstoria, dove tutto va detto – in essenza – di ciò che è stato al mondo.

La lezione. Palascianèum, Capua, 6 maggio 2018. Foto di Annalisa Papale.

Il giorno dopo ho dovuto passarlo a riposare, e ogni tanto mi sentivo come se il cuore stesse per cedere. A stento ho resistito alla tentazione di telefonare a qualcuno per chiedere aiuto. Oggi sto leggermente meglio, ma se vi accorgeste che per due giorni di séguito non scrivo niente in Facebook può anche darsi che sia morto.

Spero di sopravvivere almeno fino alla puntata conclusiva di Dal Paleolitico a Palasciania e, sei giorni dopo, la festa per il mio cinquantesimo compleanno e per la consegna dei diplomi. Ci arriverò? o quelle sette-otto anime gentili resteranno diplomandi indiplomati, dopo tanto? sarebbe un peccato; anche per loro dev'essere stato faticoso. Ma anche, oso sperare, meraviglioso.

mercoledì 2 maggio 2018

Ancorarsi alla misteriosa fraternità del desiderio

C'è una stupenda poesia di Bigongiari (in Col dito in terra, 1986) dal lunghissimo titolo, titolo che include la frase «l'homme s'ancre à la mystérieuse fraternité du desir». Non trovo citata la poesia in nessuna pagina del web, stranamente; trovo però parafrasata la suddetta frase a un certo punto d'un romanzo di Armand Gatti (La Parole errante, 1999): «Mots qui se sont ancrés dans la mystérieuse fraternité du désir». O Gatti aveva letto Bigiongiari, o ambedue avevano letto un terzo, di cui però non trovo traccia alcuna. Qualcuno, cari fratelli di desiderio, sa dirmi qualcosa di questo mistero? Non so dove ancorarmi.