domenica 31 luglio 2011

Coppelius, lord Hicks, sua figlia e il piccolo Ambrose a Palazzo Lanza per rendere omaggio a Giuseppe Bellone

Palasciano.  Foto di Antonio Calamo.
Tra enigmatici blue ribbons da spillarsi sugli abiti all'ingresso e minimongolfiere (con sù segnati un 10, un 20, un 30 e un 40) ascese in fuga icaria dal cortile, tra tavoli ardenti di campani ingegni intorno alla lanternata fontana antecristiana e girevoli corpi brillanti di sorrisi e di lustrini, tra eduli delizie da deliquio e un pantocromo offertorio di vini a istigarmi gli allievi all'ebrietudine, tra danze da Greenwich Village e da Rio e commoventi photo-show biografici (pur io, to', in quattro pose; eccone due), diamantino sulla torta un reading macaberrimo (il mio), si è in Capua ieri sera – 30 luglio 2011 – consumata nel cortile di Palazzo Lanza la multimeravigliosa festa per il 40° compleanno di Giuseppe Bellone, dove a rappresentanza dell'Accademia Palasciania mi son recato in compagnia del mio assistente, del mio bodyguard, del mio discepolo prediletto e d'un novizio acusmatico. Di séguito riporto il discorsetto da me tenuto sul palco del cortile lanzèo a introduzione della lettura di dieci excerpta dal poemetto palascianesco L'insectarium dei burattini (1995).

Bellone e Palasciano, 2010. Foto di Antonio Calamo.
Poiché fra le mie dodici qualifiche professionali e semiprofessionali vi sono anche quella di poeta e di attore, il carissimo Bellone mi ha chiesto di declamare per lui e per voi, in cinque-dieci minuti, qualcosa di attinente all’occasione. E trattandosi qui di un compleanno i cui festeggiamenti si tengono in un palazzo nobiliare, nulla di ciò che posso attingere al mio corpus sarà attinente piú di alcuni pezzi del ’95 relativi al professor Coppelius – genio della meccanica, del teatro, e del male – in visita al palazzo d’un suo mecenate inglese, lord Hicks,

● per organizzargli (tra siparietti shakespeariani, balletti,
clowneries, tableaux vivants ecc.) le feste in stile secentesco per il compleanno di suo figlio e/o fratello Ambrose (benché il bimbo sia morto da cinquant’anni),

● oltreché allo scopo di occuparsi della manutenzione della figlia del lord, che il padre ha fatto operare al cuore e –
de facto – trasformare in automa onde evitarle le sofferenze dell’amore.
Palasciano sul palco della festa del Bellone. Foto di Antonio Calamo.

Già che ci siamo, riporto nel presente post l'excerptum finale (già edito nell'antologia Una piazza per la poesia, Il Portico, 2007):
— O padre mio, dagli stregati dedali
di neri muraglioni, dimmi, c’è
chi ne esca mai, sú in aria, con le ali?

— O Miranda, si dice che il Demiurgo
per l’acre noia sua e malinconia
si diletti di gelidi anagrammi.
E il sommario ecco qui, dei dieci excerpta:
● Come avvenne che la figlia di lord Hicks ebbe il cuore sostituito da un meccanismo a orologeria affinché il padre potesse controllarne meglio i sentimenti.

● Nella villa di lord Hicks, come ogni estate, si allestisce il gabinetto del professor Coppelius.

● A tavola.

● Nel gabinetto del professor Coppelius, dopocena, con lord Hicks che non fa che dire che la vita è un cimitero i cui lumini sono le stelle.

● Il professor Coppelius intento alla manutenzione della figlia di lord Hicks, in un lago di sangue e d’ingranaggi.

● Monologo interiore d’un inserviente da circo tra una prova e l’altra.

● Monologo interiore del professor Coppelius mentre assiste alle prove del balletto.

● Il professor Coppelius passeggia con lord Hicks in giardino.

● Il professor Coppelius discute con lord Hicks circa l’organizzazione del giubileo.

● Siparietto shakespeariano conchiuso in due mirabili terzine, l’una anagramma dell’altra.

domenica 24 luglio 2011

Come classificare a tempo perso gli stati d'un frammento d'universo

In questo weekend più primaverile che estivo, quantomeno per l'ager capuanus, ancor più facile del solito m'è stato distrarmi dai programmati doveri, grazie al rinculo attorpidente successivo alle fatiche letterarie ed attoriali dei giorni scorsi. Così, libero gioco sopra l'intelletto ha avuto l'otium ludens, sotto le specie – per questa volta – della tassonomia, cui ho una tendenza quasi maniacale (effetto, essa tendenza, se non causa, del «progressivo spostamento dalla sfera dell'euristica verso la sfera della sistematica» del quale si diceva qui); ond'eccomi sospinto a un nuovo inutile, ahimè, quanto stimolante esercizio.

D'una persona a me istintivamente e ragionevolmente simpatica per giovinezza, grazia e gentilezza, ho raccolto 111 fotografie; indi le ho suddivise e riordinate in base ai criteri che via via le pose stesse mi suggerivano (5 la ritraevano in costume al mare, le altre 106 in più coprente abbigliamento; in 61 di queste ultime sorrideva; nel sorridere scopriva la dentatura in 43 occasioni, in 9 delle quali presentava le arcate disserrate; ecc.), fino a comporre il dendrogramma seguente:

Cliccare per ingrandire.

E intanto, chi attende da me il monologo per una scena di cortometraggio, chi attende una recensione alla sua silloge poetica, chi attende una testimonianza sulla conclusione di Cammina cammina, chi attende di sapere come andrà a finir l'articolone qui annunciato, chi attende il contributo a un'enciclopedia... Ahimè, ahimè!...

sabato 23 luglio 2011

Discorso da me tenuto ieri a Palazzo Lanza a introduzione di «Genesis Wunderkammer»

Signore e signori, innanzitutto grazie per la vostra venuta; grazie, tante nella misura in cui fu lungo e accidentato il vostro viaggio; del che speriamo di potervi dare consolazione con la nostra arte, per quanto essa sia umile e fallibile.

Pure ringraziamo la libreria che ci ospita; i cui titolari, e titolati, con noi dell’Accademia Palasciania sempre furono cortesi, anche oltre il mero rispetto dovuto al mio merito, giacché in loro l’affetto sopravanza l’affettazione; il che non è da tutti i capuani; e il che io conto di ricambiare, tra l’altro, col mettere in opera – o prima o poi – la tanto vagheggiata da Giuseppe Bellone scuola palascianiana di poesia, qui a Palazzo Lanza.

Ma ora, senza por altro in mezzo (giacché i fotografi di cui qui proietteremo le opere non desiderano essere presentati, e io non ho bisogno di presentazioni), spieghiamo in breve l’evento Genesis Wunderkammer: da Adamo ad Amleto tra astratto e concreto.

Marco Palasciano in Genesis Wunderkammer. Foto di Alessandro Calamo.

Questa sala sta per trasformarsi in una neobarocca «camera delle meraviglie», sia pur virtuale, e nello scenario d’uno spettacolo ibrido dove le immagini fotografiche fanno da sfondo e motivo ispiratore al teatro di parola.

Finanche parola divina (o presunta tale): nell’atto I, infatti, declamerò passi dal biblico Genesi, qua e là contaminati da altri materiali testuali, tra cui quel mio ormai famoso e da tanti amato sonetto sull’infinità dell’universo, e un passo da Baudelaire che vi lascio il divertimento di riconoscere da voi.

Nel contempo, sullo schermo si susseguiranno le immagini elaborate da Salvatore De Maio, astratte, quasi «fotografie di pensieri», o reperti medianici… che egli vi invita – se vi va – a reinterpretare, specchiando in essi il vostro animo, per magari inserire dentro un’urna – piú tardi – le intuizioni rispettive, su foglietti, nel caso di un dibattito post show. O anche solo nell’urna del vostro cuore.

Come sopra.

Intanto, dopo l’atto I – e dopo un intervallo musicale con Antonio Faenza alla chitarra – nell’atto II declamerò passi dalla commedia Un Amleto di ritagli e di pezze, una mia vecchia riscrittura dell’Amleto di Shakespeare, integrati stasera – per esigenze legatorie – da un paio di frammenti di Shakespeare puro e da un frammento di Dante (dove Ecuba, regina di Troia, è detta «cattiva» non per cattiveria ma perché prigioniera dei greci, giacché in latino captivus vuol dire prigioniero, come sapete).

E mentre io starò interpretando il principe Amleto (e un po’ anche lo Spettro di suo padre, un lector Dantis, il ministro Polonio e sua figlia Ofelia Coppelia), sullo schermo si susseguiranno le immagini concrete opera di Antonio Calamo e Vincenzo Pagliuca, tratte da un volume di cui sono coautori con Luigi Esposito: The Ghost Museum, edito dal DISCIZIA e dedicato ai locali della facoltà di Medicina Veterinaria (dove tra l’altro, quasi due secoli or sono, conseguí una delle sue tre lauree Ferdinando Palasciano) dell’Università di Napoli “Federico II”.

Locali abitati da meravigliosi quanto polverulenti reperti che – per l’incuria dell’uomo che pure li creò (o demiurgò, se tolti alla natura) – anziché venire collocati nelle ialine teche d’una Wunderkammer giacciono abbandonati alla deriva nel mare dell’oblio.

Come sopra, con l'aggiunta di un calzino verde a fare da serpente dell'Eden.

Andiamo a incominciare. Prima però va detto che nel Genesi – che in ebraico è detto Bereshit, che vuol dire «In principio» – il racconto della creazione di Adamo è doppio, trattandosi di due diverse versioni; conclusasi la prima delle quali ne inizia un’altra, e Dio – che avevamo già visto avviarsi a riposare il settimo giorno – impasta il fango, ne fa l’uomo, gli leva una costola, ne fa la donna…

Quella parte io qui l’ho saltata, andando direttamente alla storia dell’Albero della Conoscenza. Già che c’ero, ho anche cancellato la parte in cui Adamo ed Eva si accorgono di essere nudi e si coprono i sessi con le foglie, sostituendola con una battuta tolta dal film Il mago di Oz, e cioè le parole pronunciate dallo Spaventapasseri allorché il Mago gli conferisce il cervello sotto le specie d’un diploma universitario: «La somma dei quadrati costruiti» ecc.

Quanto al serpente tentatore, va altresí detto, esso non è il Diavolo, contrariamente a come poi esegetato nella tradizione cristiana, ma un serpente e basta. Con esso si alludeva alla ofiolatria dei cananei, per i quali il serpente era animale sacro, legato al culto della fertilità; culto da cui anche molti ebrei erano attratti; e fu per contrastare questo che i loro capi politico-religiosi introdussero nel Bereshit la storia della cacciata dal giardino dell’Eden. Quanto al popolo cananeo, per inciso, fu infine sterminato nel nome del Signore.

Signore si diceva Adonai; da cui il calembour che udrete a un certo punto, Much Adonai for Nothing, che storpia il titolo d’una commedia di Shakespeare – Much Ado for Nothing (cioè Tanto rumore per nulla) – dove la parola nulla ha un doppio senso, poiché con essa si usava indicare – all’epoca – l’organo genitale femminile.

Diceva Giovanni Paolo I che Dio non ci è solo padre, ma anche madre.

E il celebre dipinto di Courbet L’origine del mondo raffigura una vulva.

E non resta che augurarci, poiché il libero arbitrio ci è assai caro, che allorché Dio – il giorno del Giudizio o un altro giorno – si rivolgesse a noi con le parole «Figliolo, c’è una cosa che debbo dirti, io non sono tuo padre, sono tua madre», noi non dobbiamo replicare a Lei «E io non sono tuo figlio, sono una marionetta», come invece pretenderebbe il determinismo meccanicista.
Marco Palasciano

L'applauso finale a Genesis Wunderkammer. Foto di Alessandro Calamo.

martedì 19 luglio 2011

Genesis Wunderkammer: da Adamo ad Amleto tra astratto e concreto

Vado in scena. Venerdì 22 luglio, alle ore 19.00, presso Palazzo Lanza (Capua, corso Gran Priorato di Malta 25) l'Accademia Palasciania presenta Genesis Wunderkammer: da Adamo ad Amleto tra astratto e concreto. Ingresso libero. Di séguito la descrizione di quanto in programma, dal relativo comunicato stampa.

La sala eventi della libreria Guida Capua si trasforma in una neobarocca «camera delle meraviglie», sia pur virtuale, e nello scenario d’uno spettacolo ibrido – a ingresso gratuito – dove la fotografia d’autore fa da sfondo e motivo ispiratore al teatro di parola. Finanche parola divina: Marco Palasciano declama infatti passi dal biblico Genesi, nella prima parte della performance, e, nella seconda, dall’Amleto di William Shakespeare. Passi qua e là contaminati con frammenti d’altre scritture antiche e moderne (soprattutto moderne: a far da malta è Palasciano stesso). Nel contempo, sullo schermo si susseguono le immagini catturate e rielaborate da Salvatore De Maio, per la prima parte, e da Antonio Calamo e Vincenzo Pagliuca, per la seconda. Nell’intervallo tra le due parti si esibisce alla chitarra Antonio Faenza, con pièces trascelte dal repertorio classico.

Le immagini proposte da De Maio sono caratterizzate dall’astrazione; quelle di Calamo e Pagliuca dalla concretezza. Le prime sono, pour ainsi dire, «fotografie di pensieri»: se, per esempio, Palasciano intravede in esse un capitolo del Genesi, gli spettatori stessi sono sollecitati da De Maio a fornire una propria reinterpretazione di tali quasi reperti medianici, facendone uno specchio psicologico, per inserire infine eventualmente – in margine al dibattito post show – le rispettive intuizioni in un’urna. Le immagini di Calamo e Pagliuca sono invece tratte da un volume di cui sono coautori con Luigi Esposito, The Ghost Museum, edito dal DISCIZIA e dedicato ai locali della facoltà di Medicina Veterinaria dell’ Università di Napoli “Federico II”, abitati da meravigliosi quanto polverulenti reperti che – per l’incuria dell’uomo che pure li creò (o demiurgò, se tolti alla natura) – anziché venire collocati nelle ialine teche d’una Wunderkammer giacciono abbandonati alla deriva nel mare dell’oblio.

Sovrapposizione di fotografie di Antonio Calamo e Salvatore De Maio.