mercoledì 21 dicembre 2011

Serata di poesia a Palazzo Lanza, se per Capua c'è ancora una speranza

Cliccate qui per il grandioso resoconto della dodicesima e ultima puntata di De natura mundi. Sto intanto preparandomi per il reading a sei voci che si terrà giovedì 29 dicembre, alle ore 21.00, a Palazzo Lanza (Capua, corso Gran Priorato di Malta 25), nella sala eventi della libreria Guida Capua. Venghino, siori, venghino: l'è pure a ingresso libero.

Viola Amarelli e Marco Palasciano.
L'angolo delle storie, Avellino, 2010.
Di che si tratta? dell'Azione n. 7 di Letteratura Necessaria. Esistenze e resistenze, un progetto poetico che dal 29 ottobre sta cucendo l’Italia avanti e indietro: a Bologna si sono tenute l’Azione n. 0, n. 1 e n. 4; la n. 5 a Reggio Emilia, la n. 3 a Parma, la n. 2 a Milano; la n. 6 si è tenuta a Roma; per la n. 7 concorrevano Napoli, Caserta, Capua... e se ha stravinto quest'ultima, è stato puramente pel prestigio dell'Accademia Palasciania. Città ingrata, ringrazia!

Credo che per l'occasione darò lectura (mi sto cronometrando, non tremate) d'una sceltina di mie gemme vecchie e, a chiudere, la mia ultima cristallina poesia dendrosintetica, di cui questo è un assaggio: «Nigerrimi, gl’ischeletriti rami / semoventi in avanti / del Nulla fatto bosco, ecco, già invadono / le per nulla opponenti resistenza / corone floreali roteanti / del mondo accanto, e van fagocitandole...»

Ma ecco la lista completa, in ordine alfabetico, dei poeti in gioco (con la prima e con l'ultimo già ho bagaglietto di comuni imprese): Viola Amarelli, Enzo Campi, Jacopo Ninni, Marco Palasciano, Lucia Pinto, Daniele Ventre.

Enzo Campi.
«Lo scopo del progetto», dice Enzo Campi che ne è il promotore, «è essenzialmente quello di far circolare i libri e le cosiddette risorse umane creando dei momenti di aggregazione, scambio e confronto che possano abbattere qualsiasi tipo di divisione. [...] Semplificando e riducendo, si potrebbe dire che se le “esistenze” sono riconducibili ai libri in quanto oggetti fisici, le “resistenze” rappresentano le azioni di quei soggetti fisici che producono i libri. Aggiungendo una sola caratterizzazione: il fatto di ostinarsi, per esempio, a produrre e a spacciare poesia, oggi come oggi, deve essere considerato come un vero e proprio atto politico. In tal senso ogni azione di questo tipo viene a rivestirsi di un plusvalore sociale».

E noi che plusvaliamo
poetiam, poetiam, poetiamo! ;-)


giovedì 15 dicembre 2011

Tutto quello che avete sempre saputo sul mondo ma che non avete mai avuto il coraggio di credere


Cliccate qui per il grandioso resoconto dell'undicesima puntata di De natura mundi. Sto intanto preparando la dodicesima. Quel che segue, in proposito, è il frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania.
[...] lunedí 19 dicembre a Palazzo Fazio (Capua, via Seminario 10) [...] alle 21.30 si terrà la lezione La finestra sul paradiso: il mondo tra diecimila anni. Le molte idee dispiegatesi nel corso delle puntate precedenti convergeranno qui – per il filtro d’un fascinoso connubio di umanesimo e fantascienza – in un’unica visione, un compendio di storia del miglior futuro possibile, una sorta di testamento spirituale di Marco Palasciano [...]. Quiz a premi, musica e momenti di laboratorio teatrale arricchiranno ulteriormente questo gran finale [...]. A coronamento del seminario saranno consegnati i diplomi dell’Accademia Palasciania e si celebrerà con una torta «di stelle» anche il 27° anniversario dell’incipit del Diario palascianiano, opera monumentale in via di conversione in enciclopedia. Il brindisi finale – accompagnato dal peana di Dante ad Apollo – si terrà dopo la mezzanotte, momento in cui si toccherà l’ottantesimo giorno dall’inizio di De natura mundi.
Non mancate! è l'ultima puntata! dolci, vini, attestati, premii, giochi, musica, teatro, poesia, scienza, fantascienza... che volete di più? ed è tutto gratis.

sabato 10 dicembre 2011

Come ti sistemo i massimi sistemi

Cliccate qui per il resoconto della decima puntata di De natura mundi. Sto intanto preparando l'undicesima. Quel che segue, in proposito, è il frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania.
Alle ore 21.30 di domenica 11 dicembre, a Palazzo Lanza (corso Gran Priorato di Malta 25) la puntata n. 11, intitolata Alla base di tutto non c’è il Nulla ma il Tutto. Dall’estasi razionale alla religione giocattolo, riprenderà molte questioni lasciate volutamente in sospeso nelle puntate precedenti. Per esempio nella settima si era accennato al «superamento, non la banale esorcizzazione, del timore della morte», e a come l’emblema di tale superamento sia il «trionfo dell’istante sull’eternità»; si intreccerà ora quest’immagine con la teoria di Barbour sull’inesistenza del tempo, e simili interpretazioni del mondo come sovrapposizione di aspetti reali e illusorii. Tutti i fili del discorso convergeranno sull’intavolatura della «migliore religione possibile», frutto del connubio di logica e fantasia (con tutta un’impressionante mitologia in nuce: i demiurghi, i caògeni, i dormienti…), per poi rimettere in discussione pure questo con un’ultima mossa. Ma a prescindere dai maxi-sistemi in gioco sulla scacchiera, la lezione toccherà anche ipotesi extravaganti come la metempsicosi a zig zag (a crederci non schiaccereste piú una zanzara) e altre piú elevabili ad assioma, come la preesistenza dell’eros e dei colori ai corpi e alla luce.
Tutto gratis, come sempre. Non mancate! siamo ormai alla penultima puntata!

venerdì 9 dicembre 2011

Omaggio a Ken Russell

Tardi ho appreso della morte, avvenuta il 27 novembre scorso, di Ken Russell, che mi era caro soprattutto per Lisztomania (qui il trailer, qui tutto). Di séguito riporto, in merito, un passo da Il ritorno di Astrea in astronave, lezione n. 6 (tenuta il 7 novembre) del mio seminario-spettacolo De natura mundi, di cui peraltro la lezione n. 8 s'è intitolata Chrisztomania proprio in omaggio a Russell.

Ken Russell.

[...] l’arte postmoderna non è male, diversamente dalla filosofia postmoderna. Anzi può essere molto buona. Ciò non deve stupire, in quanto l’aggettivo che designa un’epoca non significa necessariamente la stessa cosa qualunque sia il sostantivo cui si attacchi. Per esempio, la musica barocca non ha niente a che fare con la filosofia barocca: cosa mai c’entrerà L’incoronazione di Poppea di Monteverdi con il Discours de la méthode di Cartesio? Addirittura, la letteratura postmoderna presenta dei punti in comune con alcuni esiti rinascimentali, considerato che suoi tratti distintivi sono il polistilismo, il polilinguismo... [...]

E io che [...] in gioventú – per mia ignoranza – non sapevo neanche cosa significasse la parola postmoderno, nel 1995 fui cosí descritto da Marisa Bulgheroni sulle pagine dell’«Indice dei libri del mese» [...]:
I narratori piú attenti alla contemporaneità subiscono le suggestioni, per echi e riflessi, del postmoderno americano come linguaggio della contaminazione e della frantumazione culturale, ma anche di una fabulazione che rimescola generi e stili in chiave grottesca e opera eretiche revisioni della Storia. Senza queste suggestioni non avremmo – tra gli inediti finalisti – un testo eterogeneo e rutilante come Prove tecniche di romanzo storico di Palasciano, che – senza forse conoscere Il coltivatore del Maryland di John Barth, irriverente lettura del mito di Pocahontas – rovescia il rapporto con il passato azzerandolo fino a vedere nel Congresso di Vienna una sorta di Giochi senza frontiere. 
In realtà ero stato influenzato, piú che altro, da Lisztomania, un film di Ken Russell del 1975. Si tratta di una meravigliosa trasposizione delirante della vita di Franz Liszt [...]. La biografia di Liszt è sviluppata da Russell come una sorta di fumettone, saturo di erotismo felliniano ma soprattutto di anacronismi sfacciati e di citazionismo esasperato, dove Liszt è una sorta di rockstar, Wagner è un vampiro che gli succhia la musica dal collo, il Liszt degli anni felici è un Charlot con tanto di bombetta e bastone, il Liszt abate è beccato a letto con una amante dal papa – interpretato da Ringo Starr – che gli ordina di salvare il mondo andando a sfidare Wagner nel suo castello maledetto, dove il diabolico Wagner – che intanto ha sposato e plagiato la figlia di Liszt, Cosima – ha creato un mostro, il Superuomo, ma è egli stesso – dopo la propria morte – a trasformarsi in Hitler [muor qui anche Liszt]... e non vi dico il resto.

Qui il postmoderno, nella sua declinazione artistica di gioco combinatorio di materiali eterogenei, è completamente scoperto, è pura ironia, è talmente eccessivo che si capisce che il regista vuol prendere per il culo il postmoderno stesso. Il risultato è un capolavoro.

Tutt’altro è il postmoderno dei film di cassetta. Un postmoderno subdolo, perché gli anacronismi che ci sono non sono palesi, perlomeno non allo spettatore medio. Per rendere digeribile alla massa Shakespeare, nel film Shakespeare in love il regista – che non so chi sia – dipinge il grande drammaturgo rinascimentale come una sorta di sceneggiatore dei giorni nostri, quanto a spirito, pur senza mettergli una macchina per scrivere tra le mani. [...]

mercoledì 7 dicembre 2011

L'interpretazione (teatrale, questa volta) del mondo

Scene da Il mirino di Amleto. Te lo do io il laboratorio teatrale (e filosofico), decima lezione-spettacolo – qui il riassunto d'essa – del seminario di Marco Palasciano De natura mundi. L'interpretazione del mondo in ottanta giorni. Palazzo Fazio, Capua, 5 dicembre 2011. Foto di Carolina Pragliola.

Il mirino di Amleto.
Una guardia parla a Orazio delle apparizioni dello spettro.
Gli stessi di fronte allo spettro riapparso.
Orazio decide che occorre informare Amleto delle apparizioni.
Polonio espone al re la sua teoria circa la pazzia di Amleto.
Amleto pronto a sparare al re.
Il re in preghiera.
Polonio chiama aiuto vedendo la regina aggredita.
Polonio morente: «Qualis artifex pereo!».
Amleto uccide il re.

giovedì 1 dicembre 2011

E si ritorna a far laboratorio, questa volta teatrale e non scrittorio

Cliccate qui per il resoconto della nona puntata di De natura mundi. Sto intanto preparando la decima. Quel che segue, in proposito, è il frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania.
Marco Palasciano legge Dante.
Teatro Mohole, Milano, 2008.
Alle ore 21.30 di lunedí 5 dicembre, a Palazzo Fazio (via Seminario 10) si terrà Il mirino di Amleto. Te lo do io il laboratorio teatrale (e filosofico). La sala si trasformerà in un’insolita bottega teatrale, metateatrale e metafisico-teatrale: per una sera le parole «interpretazione del mondo» assumeranno senso attoriale, e la lezione-spettacolo sarà piú spettacolo che lezione. Dall’improvvisazione alla drammaturgia, dallo psicodramma alla pulcinellata, da Amleto alla Tempesta, per un nuovo e piú appassionante «viaggio al fondo dell’anima» (come già è stato nella puntata n. 4) in forma di laboratorio alla «te lo do io» (come già nella n. 5). Tutti gli spettatori in cui nascerà la voglia di mettersi in gioco saranno coinvolti nella messinscena, tra zoo umano, scenografie sonore, tenzoni in rima, mimo, oi dialogoi, delirio, multiscene ed altro ancora. Infine riceveranno un libro in omaggio.
Tutto gratis, come sempre. Ah! vi consiglierei di portare qualche coperta: potrebb'essere utile come costume di scena, se non per altro.

venerdì 25 novembre 2011

Lettera di uno spettatore

«Caro Marco, non puoi immaginare come mi sia sentito bene ieri sera, in pace con me stesso, quasi redento. Il tuo severo magistero mostra quello slancio della superiorità che rianima le speranze per qualche parte mortificate dal valore troppo modesto di tutto il resto», mi scriveva tre settimane fa uno spettatore dei più assidui di De natura mundi. Riporto ora una parte della lettera da me ricevuta, dopo l'ottava lezione, da un altro gentile e ormai assiduo spettatore, residente in Lazio (mentre chi abita a un passo mi diserta: nemo propheta in Capua!), all'epistolare scrittura ispirato anche dalla visione d'un barattolo manzoniano; che per mia fortuna non è il notiore Merda d'artista (quella, infine, da far magari scrosciare in capo alle «mandrie anestetizzate» e ai «fattori» loro), bensì l'opera qui riprodotta in foto. Quanto al «palazzo gelato» citato, è Palazzo Fazio, dove dall'anno scorso ahimè i riscaldamenti sono guasti; e il «soppalco» la sala eventi di Palazzo Lanza.


Piero Manzoni, Contiene una linea
di lunghezza infinita
, 1960.
All’improvviso, per il tipico gioco che fanno gli specchi riflettenti, dopo secoli mi sono imbattuto di nuovo in Piero Manzoni. Scontro frontale con la linea di lunghezza infinita, senza esclusione di colpi. Perdita di coscienza del sottoscritto con successivo rinsavimento tra le braccia dello spazialismo (altro che sindrome di Stendhal). Trip meditabondo-meditativo a tratti allucinato.

Lungo il percorso, sopraggiungono frammenti sparsi delle tue lezioni, che con la lunghezza (cronometrica) e l’infinità (spazio-temporale dello Spirito che si fa Parola) hanno molto a che vedere.

Mi sono divertito a fare questa riflessione: anche dentro a un manzoniano barattolo sigillato, da profeta ispirato e orwelliano quale sei, non ti perderesti d’animo: fino all’ultima molecola d’ossigeno cospireresti con te stesso per occupare lo spazio vuoto popolandolo di analisi filologiche, divulgazioni erudite, citazioni ironiche, autocitazioni ispirate. Forte dell’inneres Auge piantato in fronte, ti produrresti in una sistematica resistenza verticale al vuoto orizzontale che ti circonderebbe. Resistenza, quindi pressione, infine energia propulsiva per schizzare fuori dal barattolo («L’ignoranza non è forza!» «La libertà non è schiavitù!», ti sentirei urlare come un eroe col mantello di pergamena). Riprecipiteresti sul palco del teatro, o della vita, che poi sono la stessa cosa. Un inchino alla platea, e via col De natura mundi.

Sempre Manzoni, a proposito dello spazio totale: «Il verificarsi di nuove condizioni comporta, con la necessità di nuove soluzioni, nuovi metodi, nuove misure; non ci si stacca dalla terra correndo e saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano; la trasformazione deve essere integrale».

Non so se le trasformazioni che affrontiamo alla fine trovino un compimento sferico. Non so neanche se il concetto di «integrale» sia giusto. Ma di certo dietro il tuo correre e saltare (dialetticamente parlando) si aprono le ali che ti staccano da terra. E noi con te ci avviciniamo a quanto di più spirituale un palazzo gelato o un soppalco possano permettere; sorvoliamo le mandrie anestetizzate, i loro messia rovesciati, i fattori col bestiame che rumina balordo nei ministeri e in mezzo ai palinsesti delle televisioni generaliste e nelle associazioni inconcludenti e nelle finte conventicole, e con entusiasmo non resisteremmo alla tentazione di produrci in una scrosciante cascata di merda per vendicarci. Per battezzarli. E possibilmente, dopo il perdono, svegliarli dall’incantesimo.

mercoledì 23 novembre 2011

Siamo uomini o čapekkàreli?

Cliccate qui per il resoconto dell'ottava puntata di De natura mundi. Sto intanto preparando la nona. Quel che segue, in proposito, è il frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania.
Fotogramma da Metropolis
(1927) di Fritz Lang.
Alle ore 21.30 di domenica 27 novembre, a Palazzo Lanza (corso Gran Priorato di Malta 25) incontreremo The Doctor and the Robots. La guerra delle due cose: anima e corpo. La questione body/mind, già introdotta durante la scorsa puntata (Chrisztomania) e qui ripresa, sarà letta non solo in chiave fisiologica e filosofica (dagli aedi a Platone, da Cartesio alle neuroscienze) ma anche in chiave fantascientifica, orrorifica ecc., tra Pinocchio e i Terminator, con riferimento nel titolo alle tante creature robotiche e variamente finto-umane incontrate nei suoi viaggi dal protagonista di Doctor Who. Un altro Dottore in gioco sarà il medico e umanista Ferdinando Palasciano (1815-1891), del quale sarà la vigilia del 120° anniversario della morte, e al quale farà da contraltare nella nostra Wunderkammer immaginaria il diabolico professor Coppelius, maniaco del trasformare gli esseri umani in macchine e le macchine in esseri umani.
Tutto gratis, come sempre. Intanto, se non v'è trasparente il titolo del post, Siamo uomini o čapekkàreli? (cfr. Siamo uomini o caporali?), traduco: Siamo uomini o cose come quelle immaginate da Karel Čapek (e cioè i robot)?

giovedì 17 novembre 2011

Il Vangelo secondo Marco Palasciano

Cliccate qui per il bellissimo resoconto della settima puntata di De natura mundi. Sto intanto preparando l'ottava. Quel che segue, in proposito, è il frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania.
Fotogramma dal Vangelo secondo
Matteo
(1964) di Pier Paolo Pasolini.
Alle ore 21.30 di lunedí 21 novembre, a Palazzo Fazio (via Seminario 10) si terrà Chrisztomania (titolo ispirato a Lisztomania di Ken Russell), lezione-spettacolo articolata in due parti ben diverse per tono: intensamente drammatica la prima, sulle origini del cristianesimo; satirica la seconda, sull’ipocrisia dei falsi cristiani. Lo spettatore verrà immerso nella realtà umana del Vangelo e, di contro, nella disumanità surreale degli «scribi e farisei» di prima e dopo l’editto di Tessalonica, partendo dall’ispirazione che spinse Gesú di Nazareth a predicare l’amore universale e finendo con la sua doppia crocifissione: a opera dei sicari quella del corpo, a opera dei vicari quella delle idee. Idee di cui piú avanti si assisterà alla resurrezione.
Tutto, come sempre, gratis et amore Dei.

lunedì 14 novembre 2011

Alle origini della letteratura italiana del XXI secolo, e più in ispecifico dell'opera palascianesca

I Quindici.
Sono passati ormai trentacinqu'anni dalla mia prima poesia, scritta a otto. Era il 14 novembre 1976; in quel giorno e nel successivo scrissi di getto trentasei poesiole, nonsense per la più parte, stilisticamente tutte ispirate ad analoghe filastrocche da me lette e rilette nel vol. I, Poesie e rime, della insuperabile enciclopedia per bambini I Quindici. I libri del come e del perché, Field Educational Italia, 1971. Un quaderno arancione ospita i trentasei testi, ciascuno accompagnato da un'illustrazione copiata da Poesie e rime. Il primo di essi, La torta della morta, è anche la mia prima opera letteraria in assoluto; ma essendo alquanto brutta, fin dal titolo, cinque anni fa (vedi qui) preferii considerare come prima (quantomeno la prima decente) la seconda, Giochi, la poesia della pagina appresso a quella: una linda quartina d'ottonari AABB, neanche tanto insensata.

Sia l'una sia l'altra potete leggere nell'articolo (vedi qui) rendicontante della vulcanica settima puntata di De natura mundi; dove tra l'altro si è data celebrazione del poetico anniversario, di cui era la vigilia, con un reading da parte mia e un meraviglioso rinfresco offerto di sua sponte dalla gentilissima signorina Carolina, che conobbi due mesi ancor non sono; fu in occasione dell'evento S'i' fossi poeta cangerei 'l mondo (vedi qui); là ella s'innamorò dell'Accademia Palasciania, e di essa già è tra le massime benefattrici. Fosse tutto così l'umano mondo!

mercoledì 9 novembre 2011

Lustro di sette lustri di poesia, Palasciano vi illustrerà la via

Clicchi qui chi desideri sapere come andò la sesta puntata di De natura mundi. Sto intanto preparando la settima. Quel che segue, in proposito, è il frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania:
M. Palasciano. Foto di O. Soldati.
Alle ore 21.30 di domenica 13 novembre, a Palazzo Lanza (corso Gran Priorato di Malta 25) si terrà la puntata De vulcani eloquentia. Trionfo del linguaggio sull’indicibile e trionfo dell’istante sull’eternità. La sala eventi della libreria Guida Capua sarà nuovamente adibita a laboratorio di scrittura, per cosí dire; ma a un livello piú profondo, in genere mai toccato dalle botteghe consuete. Saranno ridefiniti i limiti del linguaggio e riposizionato il ruolo della poesia. Col ritorno di Astrea in astronave si è demolito il relativismo postmodernista, restaurando l’idea di un’unica verità oggettiva; si mostrerà ora come il feedback tra scienza, filosofia e arte sia l’unico sistema possibile per la liberazione della verità dal groviglio delle contraddizioni (apparenti) in cui l’universo immerge l’uomo (o viceversa). Una conseguenza tra le altre sarà il superamento, non la banale esorcizzazione, del timore della morte: sia quella dell’uomo, come singolo o come specie, sia quella dell’universo. Sulle questioni metafisiche si tornerà, piú approfonditamente, nell’undicesima puntata; questa settima intanto, coincidendo con la vigilia del 35° anniversario dell’esordio letterario di Palasciano, sarà completata da un reading spettacolare.
L'Ufficio pubbliche relazioni dell'Accademia, come ben qui si vede e oftostrabuzza, continua a spararle sempre più grosse; andrà, temo, a finire che mi faran passare per guru o ciarlatano. Meno male che il seminario è gratis: non ci si può accusare di simonia, almeno. Tra l'altro, mi dicono, domenica ci sarà anche un buffet.

mercoledì 2 novembre 2011

Specchio ustorio delle mie brame eterne, da' al rogo le immondizie postmoderne

Cliccate qui per l'aureo resoconto, ove v'interessasse, della quinta puntata di De natura mundi. Sto intanto preparando la sesta. Quel che segue, in proposito, è il frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania.
Alle ore 21.30 di lunedí 7 novembre, a Palazzo Fazio (via Seminario 10) vi aspetta Il ritorno di Astrea in astronave. Tramonto del postmoderno e rimonta del moderno. Una serata dedicata, tra lazzi carnascialeschi, al rogo di quanto di peggio abbia prodotto la cultura dell’ultimo mezzo secolo e, tra echi di concerto delle sfere celesti, al recupero di quanto di cinquecentesco il razionalismo folle del Seicento e l’irrazionalismo calcolato del Novecento avevano messo in cantina, e che ora va rispolverato in vista del Rinascimento prossimo venturo. Sotto l’egida di Apollo e dell’Apollo 11, assisteremo al matrimonio alchemico di classicismo e futurismo, al trionfo delle n(u)ove Muse su «antanisti» e «trashaiuòli», e alla chiusura ufficiale dei decenni bui della postmodernità.
Tutto gratis, come sempre. La prima parte della serata, omette di dire il comunicato, si intitolerà Dall'estetica trascendentale all'anestetica trash-and-antani: mio Dior, come sono caduta in vascio!; la seconda Le Muse intorno alla culla del nuovo Rinascimento.

Palasciano legge un brano da Cosmopolis di Stephen Toulmin durante
La Grande Ruota delle Umane Cose (De Magna Rota Rerum Humanarum)
.
Palazzo Fazio, 2010. Foto di Patrizio Cimmaruta.

Dieci anagrammi sul nome di un poeta assassinato il 2 novembre 1975

Da leggere come un racconto solo. La missione dell'intellettuale e dell'artista, la seduzione della corona di lauro, l'anteporre alla cultura paludata il vitalismo popolare, l'eros, il triste finale. 

I’ penso al poi. I’ parlo.
Paesi, popoli: ornali.
Proponi lì la poesia.
Poi la prosa. Il pieno.
Allori: oppio, pensai.
Parlo a noiosi pepli.
Penso a popoli ilari.
Priapo apollineo? sì.
Pino Pelosi: ira, palo...
Ali. Poi lo piansero, P.

Già che ci siamo, clicchi qui chi gradisse ascoltarmi leggere, di P., Supplica a mia madre, da Poesia in forma di rosa, 1964.

mercoledì 26 ottobre 2011

Altro che scuole Holden e Pseudoholden: ve lo do io il laboratorio di scrittura

Cliccate qui per il resoconto della quarta puntata di De natura mundi, cari, e vi autochirofagizzerete per non esserci stati.

Sto intanto preparando la quinta puntata. In proposito, frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania:
Alle ore 21.30 di domenica 30 ottobre, a Palazzo Lanza (corso Gran Priorato di Malta 25), vi aspetta Gli esordi del caos. Te lo do io il laboratorio di scrittura. La sala eventi della libreria Guida Capua sarà adibita a bottega di narrativa e poesia, con esempi pratici, tra excerpta e composizione dal vivo. Il titolo della puntata, Gli esordi del caos, è un omaggio ad Antonio Moresco (autore degli Esordi e dei Canti del caos, massimi capolavori della letteratura italiana degli ultimi decenni), del quale giusto quel giorno sarà il compleanno. Quanto al sottotitolo, Te lo do io il laboratorio di scrittura, è un gioioso sberleffo alle infinite scuole Holden e Pseudoholden fiorite per l’Italia.
La prima parte della serata, omette di dire il comunicato, si intitolerà O buon Apollo, salvaci dalla poesia mediocre!; la seconda Racconto, romanzo, opera mondo.

Ed è, naturalmente, tutto gratis.

Antonio Moresco e Marco Palasciano. Palazzo Fazio, 2009.

venerdì 21 ottobre 2011

Introduzione a una lectura Dantis

Palasciano, Palazzo Lanza, 2003.
Il testo bipartito che qui segue fu da me abborracciato il 22 e 23 gennaio 2003, tra una seduta in bagno e una seduta dal parrucchiere, per usarlo come introduzione alla lectura Dantis in diciotto puntate che si sarebbe tenuta quell'inverno-primavera a Palazzo Lanza (con tanto d'assoli per fagotto da me composti, settimana per settimana, ed eseguiti da Guido Mandaglio).

Mandaglio, Palazzo Lanza, 2003.
Domenica scorsa, 16 ottobre 2011, ho riciclato tale testo rendendolo parte d'un più ampio discorso su Dante facente parte, a sua volta, della lezione-spettacolo Viaggio al fondo dell'universo: dall'inferno di Dante al pianeta Abisso e fuga. Input e output poetici agli albori della nostra Ruota, terza puntata del seminario De natura mundi. L’interpretazione del mondo in ottanta giorni.


APPUNTI SCRITTI IN BAGNO

Dante ha bisogno d’una guida, per purificarsi. Non è cosa troppo cattofascista? L’individuo dovrebbe seguire sé stesso e basta, dice Krishnamurti.

Ma qui, per guida, s’intende probabilmente la memoria, la conoscenza degli uomini del passato, di quanto fecero nel bene e nel male. Una carrellata universale al termine della quale si avrebbero certo le idee piú chiare, ci si sarà purificati. Alta pedagogia che Dante voleva fosse di tutti (da qui l’uso del volgare). Infine, la cultura è l’arma da prendere contro il mare di guai che ribolle in noi, contro la «lupa» [Inf I 49], la pelle lupesca che ci è addosso, a mo’ di «falsa vacca» [Inf XII 13] di Pasifae, e di cui dobbiamo liberarci a colpi di lama.

Una pelle di lupa che è anche una crosta di fango, sporcizia divenuta terracotta, pietra. Si è lasciato che si posasse quella polvere su di noi, che si accumulasse, si incrostasse. Si era distratti, si guardava ad altro, si trascurava il sé. «O insensata cura de’ mortali…!» [Par XI 1].

Ecco, la Commedia focalizza la nostra attenzione lungi da «iura», «sofismi», e altri «difettivi sillogismi», per mostrarci la sua arte bellissima: ed è questa a educarci, infine, e non tanto il contenuto dell’opera, troppo cattolico per dirsi universale, troppo medievale per dirsi eterno. Universale ed eterna è, invece, la Commedia in quanto opera d’arte […].


APPUNTI SCRITTI DAL BARBIERE

Bisogna distinguere due tipi di selva: c’è la selva iniziatica, dove l’adolescente, nelle società primitive, viene lasciato da solo affinché impari a conoscere la complessità della natura, e la naturalità dell’essere complessi. La selva come specchio dell’anima, come strumento di autoriconoscimento, come diapason per accordare sé stessi all’orchestra dell’essere. Per infine ritornare al villaggio cambiàti, pronti per la vita adulta, alla gestione del labirinto della vita.

Da Tetsuo di Shinya Tsukamoto, 1989.
A parte questo tipo di selva, c’è l’altro: non teatro di autenticità, ma di sofisticazione; dove la complessità è senza ragione; il labirinto costruito dall’uomo che si allontana da sé stesso, che si perde dietro alle suggestioni dell’inautentico, dell’alienato. I falsi bisogni, gli inganni del potere, dei dogmi, di ogni follia istituzionalizzata. Tutto un gioco di specchi che però non ha nulla a che vedere con lo specchio limpido e vero rappresentato dalla prima selva, la natura maestra. Qui non ci sono maestri, ma solo mostri. Questa selva è il labirinto senza uscita in cui si ritrova, per esempio, l’uomo medio della nostra epoca allorché, distratto com’è, si lascia raggirare dagli spacciatori di verità assolute.

Un labirinto che, a cercare di risolverlo, si impazzisce: perché non è risolvibile. L’unica è spezzare le mura o, se la potenza del desiderio di liberazione è tale da superare i freni e le zavorre dei paralogismi incrostati, andarsene via a volo, scoprendo la terza dimensione.

E, una volta uscito dalla selva-labirinto della quotidianità alienata, l’uomo può finalmente entrare nell’altra selva, l’iniziatica, nella quale prima non era mai entrato, dal che la sua immaturità.

Tornando a Dante, la sua «selva oscura» cos’è? iniziatica o alienata? O addirittura ambedue? Alienata, poiché vi si è smarrito per errore, e non riconosce piú sé stesso; iniziatica, poiché attraverso essa e tutto ciò che la selva contiene (poiché inferno, purgatorio e paradiso, infine, si possono considerare tutti contenuti nella selva, cosí come tutto ciò che accade a Polifilo nel suo viaggio è contenuto nel suo sogno – e selva e sogno sono in fondo la stessa cosa: la metafora di una distrazione dal mondo solito, un allontanarsi dal mondo e ritrovarsi soli con sé stessi, dentro il mondo interiore che prima si era trascurato – e quindi, piú che una distrazione, una riconcentrazione, un concentramento), dicevo, attraverso la selva e i regni che essa contiene, Dante ritrova sé stesso e si purifica di ogni alienazione, avendole messe a fuoco una per una e avendo analogamente esperito le virtú contrarie.

Insomma la «selva oscura», e i regni che le seguono, sono, in uno, il male e il suo rimedio. In tal senso Dante è un omeopata dello spirito.

giovedì 20 ottobre 2011

In preparazione la quarta puntata di «De natura mundi»

Frammento centrale dall'ultimo comunicato stampa dell'Accademia Palasciania:
Alle ore 21.30 di lunedí 24 ottobre, a Palazzo Fazio (via Seminario 10) vi aspetta un Viaggio al fondo dell’anima: una serata di giochi analitici e sintentici. Sullo sfondo del castello cristallino della ragione, e del circo in fiamme della follia, il pubblico potrà anche partecipare a una serie di giochi tanto divertenti quanto illuminanti: quiz, anagrammi, dadi enciclopedici, Quanto vali come essere umano?, dendrosintesi poetica, ritratti musicali e altro ancora.
Ecco, sto appunto preparando questo.

martedì 18 ottobre 2011

18 ottobre 2011

Solo una settimana fa festeggiavamo felici (vedi qui) il 90° compleanno di Andrea Zanzotto, e stamattina è arrivata la notizia agghiacciante.

Mi sento piuttosto abbattuto e non mi viene da scrivere niente.

Tranne che stamattina, per sbadataggine, ho urtato stortamente con le dita della mano destra (la quale già qualche anno fa ebbe incrinato un osso) un orlo di marmo, e mi sono fatto molto male.

Più tardi, saputo della morte del poeta, mi sono domandato se essa per caso, o meglio per sincronicità junghiana, non fosse avvenuta esattamente nell'ora di quell'urto: all'incirca le dieci del mattino.

E, in effetti (vedi qui), è possibile.

Uno spot in versi di Silvia Tessitore e un mio sonetto a commento

Lamentavo ieri, via Facebook, la scarsa affluenza di persone fisiche (vedi qui) alla terza puntata di De natura mundi; e stamattina Silvia Tessitore, in sua bacheca, non solo ha condiviso il link al programma del seminario, ma l'ha accompagnato colla graziosa stanza in endecasillabi e settenari che segue.
Mi giunge voce che lo Palasciano
– per troppi versi un genio,
indi per sua natura un incompreso –
minaccia lo supremo sacrificio
se le sue prolusioni van deserte.
Orsú, Caserta cólta,
lèvati dai tuoi ozi e vagli incontro,
ché De natura mundi è il suo sudore,
la tempra dei suoi nervi e del suo ingegno.
Vorresti maï tu pagargli in pegno
lo scrupol d’un’assenza indifferente?
Silvia Tessitore.

Grato e onorato, ho ratto commentato:
Son qui già pronto con la corda al collo,
la Tessitor non mente; alta è la trave,
tremante lo sgabello, ahi genti prave
che non faceste lo sperato affollo!

Ma ancor si può mutare protocollo,
nel senso opposto può girar la chiave,
in dolce canto volger l’urlo grave,
chi muor d’inedia vivere satollo.

Sorreggimi, o Caserta! Nulla vendo,
tutto è gratis; né sai che perdi, bada!
Perciò non fare come chi vedendo

pencolare un macigno lascia cada,
per strafottenza, e ch’esso con orrendo
fracasso scassi sé nonché la strada.

mercoledì 12 ottobre 2011

La natura di «De natura mundi»

A chi, letto il programma di De natura mundi, gentile oggi diceva «Non capisco: è filosofia o comicità o ambedue?», ho risposto – e qui, ché mi par utile, riporto – improvvisando lesto questo testo.

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Se ella ha presente la divina Commedia, non ho da farle altri esempi per spiegare la natura di De natura mundi: la filosofia deve toccare tutti gli argomenti, si sa, dai più alti ai più bassi. E destino di questi ultimi, tra l’altro, è essere oggetto d’ironia, più o meno feroce: ond’ecco la «comicità» che giustamente ella notava – in particolare quando ci si riferisca , per es.,
● alla «poesia mediocre» da cui «Apollo» deve salvarci, e in generale ai cattivi scrittori nonché attori («Te lo do io il laboratorio…»);

● o al(l’a me ormai invisissimo*) postmodernismo, massime quello dei nichilisti e dei dissacratori alla cieca, i cui discorsi sono spesso purissima aria fritta (vedi l’esperimento di Alan Sokal del 1996...), da me qui scimmiottata già tramite un titolo come Dall’estetica trascendentale all’anestetica trash-and-antani: mio Dior, come sono caduta in vascio!;

● o a Radio Maria, e al paraocchismo religioso tutto.
Per il resto vi sono cose altissime, dove l’ironia diminuisce e aumenta la poesia, e nelle quali metto tutto me stesso. C’è tutto il mio sistema di valori, maturato in una vita; ci sono i miei sforzi nelle arti, e sanno gli spettatori quanto non sono vani, né merdosi; c’è la meravigliosa sinergia di classicismo e futurismo; c’è l’enciclopedismo, la maieutica, l’amore universale non per dire; c’è il superamento, non l’esorcismo, del timore della morte; c’è il più sano divertimento; c’è anche la restituzione (se a qualcuno interessi) di “Cristo” alla sua umanità, indizio chiave il teatro; c’è la confisca al cristianesimo d’ogni pretesa di primato amoroso-messaggistico, considerata la natura fondamentalmente buona della nostra specie – ultimi studi** docent –, altro che macchie di peccato originale da stinger col battesimo; c’è la forma più sana d’antropocentrismo, premessa necessaria allo sviluppo del «nuovo Rinascimento» o quel che sia (e Astrea è già tornata, l’han colta gli astronauti dell’Apollo, sta solo aspettando in un appartamentino l’ora d’andare alla gran festa); c’è tutto quello in cui credo, e che volgo in pratica quotidianamente; c’è il mondo, insomma, visto attraverso gli occhi di un genio: genio, per giunta, d’umiltà immensa. Che può di più volersi? è pure gratis. :D

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* Di antipostmodernismo pure tratta un recente articolo dell'amico e sodal Daniele Ventre: La miseria della postfilosofia.

** Vedi per es. Robert Frank, Passions Within Reason: Tre Strategic Role of the Emotions, W.W. Norton, New York, 1991 (cit. a pag. 121 di Mark Buchanan, L'atomo sociale. Il comportamento umano e le leggi della fisica, trad. Massimo Parizzi, Mondadori, Milano, 2008).

martedì 11 ottobre 2011

Bozza di locandina per «De natura mundi»

Durata circa due ore, la seconda lezione-spettacolo del seminario De natura mundi (consistita nella seconda e ultima parte di De Magna Rota Rerum Humanarum, un condensato del seminario dell'anno scorso) si è tenuta iersera a Palazzo Fazio, davanti a una dozzina di degni spettatori. La prossima lezione (tutta nuova), Viaggio al fondo dell'universo, si terrà a Palazzo Lanza domenica 16 ottobre. Ecco intanto qui sotto, fresca fresca, la bozza della locandina col programma completo; cliccare per ingrandire.

Per la solenne commemorazione della nascita del «Servus Musæ» A.Z.

Il testo che segue – andato in scena il 10 ottobre 2011 a Palazzo Fazio – è parte d'un mio discorso sull'arte che è parte a sua volta d'un capitolo (VI. Arte vs Burocrazia) della lezione-spettacolo in due parti l'una tenuta il 2 ottobre e l'altra il 10 De Magna Rota Rerum Humanarum: la sistemazione delle pratiche e dei valori umani nella Ruota palascianiana, parte a sua volta del seminario De natura mundi. L’interpretazione del mondo in ottanta giorni.

Il paese del poeta. Foto emersa dal web e rielaborata
(l'originale appare in vari siti, tra i quali terremagiche.it).

PER LA SOLENNE COMMEMORAZIONE
DELLA NASCITA DEL SERVUS MUSÆ A.Z.

Se avessi tempo ora tratterei della mia teoria sulla classificazione delle arti, ma sarebbe lungo e complicato; e a compattarlo, un tale schematizzare apparirebbe forse troppo burocratico.

Preferisco, in ogni caso, ora, parlarvi d’un artista. Un poeta. Il massimo poeta italiano vivente. Che giusto oggi, 10 ottobre 2011, compie novant’anni.

Quattordici anni e mezzo fa, nel 1997, qualche giorno prima di Pasqua, mi trovavo in Veneto, nel trevigiano, presso una coppia d’amici campani là provvisoriamente emigrati, Enzo e Margherita.

Fin dalla mia partenza da Capua avevo avuto in animo di far visita, con l’occasione, a quel poeta nato nel 1921 e sempre vissuto nel suo paesino prealpino circondato da colline e distante poco meno di un’ora di viaggio da casa dei miei ospiti.

Martedí 25 marzo il Sole era in tripla congiunzione con Venere e Saturno: trionfo di senile saggezza e di dolcezza, se credete in tali cose. Quanto a cose piú terrene, quel giorno la linea ferroviaria Udine-Treviso si trovava interrotta, causa rimozione ordigno bellico.

La guerra. Il poeta era stato partigiano. E per il resto maestro di scuola, incline alla malinconia e per essa cercando conforto nelle scienze della psiche (prediligendo le teorie di Lacan, per il quale l’inconscio è strutturato come un linguaggio) oltreché nella poesia. «La poesia», che, com’egli dirà in un’intervista del 2011, «è sempre piú di attualità, perché rappresenta il massimo della speranza, dell’anelito dell’uomo verso il mondo superiore».

Da Montebelluna erano cinquanta minuti d’autobus, in partenza alle dodici e dieci, a bordo del quale avrei pranzato con un panino assemblato in fretta prima d’uscir di casa. Nello zainetto avevo anche un uovo di Pasqua: me l’ero portato per regalarlo al poeta, autore fra l’altro delle famose Pasque.

All’una del pomeriggio giunsi finalmente a Pieve di Soligo. Nel primo bar che trovai domandai di Andrea Zanzotto, e dalla barista mi fu detto che proprio lí lui veniva a prendere il caffè tutte le mattine, verso le undici! E additò il tavolino. Ora Zanzotto era a casa, e avrebbe pranzato, e probabilmente poi dormito un po’; la signora consigliava di bussargli dopo le tre e mezza del pomeriggio.

Avevo dunque un paio d’ore di tempo da perdere, e per cominciare individuai la casa del poeta. C’era un giardino fiorito, con tavolini e sedili. Era tutto aperto. C’erano un’auto e due biciclette bianche. Nel giardino tra l’altro presenziavano certi fiori gialli, in cespuglio, onnipresenti nei dintorni; forse forsizie.

Tornai per ora indietro. C’era il fiume Soligo, dalle acque bassissime e trasparenti, con le alghe stanziali a scompigliarsi in balia del flusso. Nell’aria due rondinotti si rincorrevano. C’era un ponte, dai balaustri a pedoni degli scacchi, e, sotto, un greto di ciottoli bianchi come ossa, con sú tante foglie cadute sebbene non fosse autunno. L’ombrosa arcata mi parve uno scenario di teatro atro atto a farne sbucare la barca di Caronte.

C’era poi un campanile altissimo, appuntito, puro come un’astrazione matematica, faccia da cicogna. C’era la chiesa madre, con guglie un po’ frattali, ciascuna piantata su quattro colonne il cui vano imprigionava una statua di non so quale e qual altro cittadino del paradiso.

C’era un vecchio mulino, presso un Centro d’arte La Roggia, con la sua ruota nera dalle pale stortarelle che girava e girava, come una scala mobile, riciàf, riciàf. Mi avvicinai, e fui tra aiole («Vietata la circolazione ai cani»; ah, talvolta Zanzotto inserisce disegni di cartelli nelle sue poesie); ed ebbi il ponte di fronte, nel paesaggio bianco argenteo. Luoghi che avrei potuto aver sognato. L’acqua ruscellava e risonava. C’era odore d’acqua nell’aria, un odore verde.

Sparsi ai miei piedi erano gli strobili di non so che conifere. Per tre quarti di secolo, pensai, Zanzotto aveva vissuto, in quei luoghi; e io ora in un istante solo abbracciavo-analizzavo con gli occhi tutti i tronchi muscosi. L’albero maggiore, con qualche ragnatelo negli incavi, recava sulla corteccia il disegno giallo di un cuore siglato dalle lettere N ed E. Dal campanile aguzzo vennero i rintocchi delle due.

Da presso il municipio, notai, era una discesa; e scesi sotto il ponte, per camminare sul greto. Risalito entrai a visitare la chiesa, di Santa Maria Assunta, coi suoi decori giocattolosi, mentre di fuori i giardinieri rasavano i prati («di lappole»?). E là dentro lessi da qualche parte:
Servi Dei Iosephi Toniolo viri laici…
Ma soltanto anni dopo, rileggendo il diario che – in mancanza di macchina fotografica – là ero andato scrivendo passo passo, mi sarei reso conto che quel «Servo di Dio», quasi Beato, lí, quel Giuseppe Toniolo (tra l’altro fondatore, nel 1907, del periodico «La settimana sociale dei cattolici italiani»), doveva essere stato il G.T. che ispirò a Zanzotto l’anticlericaletta poesia del 1960 ca. Per la solenne commemorazione della morte del «Servus Dei» G.T.

Alle tre tornai presso la casa del poeta. Dove intanto un’altra porta era stata aperta; era proprio tutto aperto. Non c’era piú una delle due bici, ma si era aggiunto un motorino, anch’esso bianco. Aspettai una mezz’ora risfogliando, trattili dallo zainetto, i due libri che m’ero portato per farli autografare (fino ad allora l'unico mio autografo era stato quello di Peter Greenaway), Il Galateo in bosco e l’Oscar delle Poesie, rileggendo tra l’altro l’ecloga Lamenti dei poeti lirici, dove un poeta interroga la Musa, e di cui ecco un pezzetto (qui Lazzaro è il mendico della parabola, non il risorto):
Chiedono, implorano, i poeti,
li nutre Lazzaro alla sua mensa,
come cigni biancheggiano.
Invocano l’amata
l’iddio la pia vittima le orme
che s’addentrano al simbolo
(morí quel simbolo, morí).
Nomi hanno, date con interrogativo,
schede, schemi,
cadaveri com’elitre
in oniriche antologie.
Perfettissimo pianto, perfettissimo.
Si fece l’ora di bussare. Il campanello esterno era guasto; ce n’era un altro, piú interno, ma non osavo violare quello spazio senza invito; cosí tornai al bar per telefonare. Andrea Zanzotto rispose.

Disse che era in partenza per Milano, e di non avere tempo per una visita; ma io gli dissi che mi sarebbero bastati solo cinque minuti, d’orologio.

Aveva manine pelose, un viso antico, un’espressione dolce; in testa un cappellino da puffo o un berretto frigio, ma color verde; e mi parve d’animo cosí amabile e gentile che pensai: da vecchio voglio essere cosí.

Sedemmo su un sofà verde. (Il verde: il suo colore preferito; «il verde altissimo / il ricchissimo nihil»…)

In quei cinque minuti, richiesto d’un parere sul mondo contemporaneo, si dolse del degrado del paesaggio, e, in piú, del regredire dei servizi pubblici, in loco soprattutto, come gli ospedali, o i trasporti, carente la linea d’autobus e lui patendo già i suoi senili acciacchi. Disse che era assurdo misurare il benessere di una nazione da cifre come quella del prodotto interno lordo. Si dolse, pure, della bassa natalità, da cui il mesto fenomeno delle tante case enormi e vuote. Quanto alla politica, avendo visto all’opera Norberto Bobbio ai tempi suoi, aveva ora ben di che criticare Fausto Bertinotti, mentre nutriva sufficiente fiducia nel [ricchissimo nihil del] PDS…

Nel congedarmi, infine, gli consegnai il mio uovo di Pasqua, accompagnandolo colla chiosa, quasi a scusa, che noi del sud, quando facciamo una visita, usiamo recare di tali omaggiucoli. E compiuta cosí la mia missione, feci anche in tempo a prendere l’autobus delle sedici e dieci per Montebelluna, l’ultimo a me utile; e lí a bordo mi dissi:

— Perfettissimo viaggio, perfettissimo.

*
*      *
Vi leggerò ora per intero qualche poesia di Andrea Zanzotto.

Si noti come in esse, in base alle necessità espressive, il poeta mescoli piú o meno babelicamente le piú disparate lingue, linguaggi e stili, dal balbettío dei bimbi all’algebrío della scienza, passando per dialetti, latinismi, echi di canzonette, citazioni dei classici e via cosí. Zanzotto difatti appartiene alla schiera degli autori per i quali il monolinguismo è cosa aliena, vale a dire alla linea dello sperimentalismo glossoplastico svisciolatosi dal medioevo fino all’evo dei media, passando per Dante, la Hypnerotomachia Poliphili, Folengo, Basile, Maggi, Porta, Dossi, Faldella, Imbriani, Pizzuto, Gadda, Pasolini, Testori, D’Arrigo, Mastronardi, Meneghello, me e non so chi altri, per restare all’Italia; ché poi ci sono anche, ovviamente, Rabelais, Sterne, Carroll, Joyce ecc.

La prima poesia che leggerò, 13 settembre 1959 (Variante), è una sorta di litania infinita dedicata alla luna, che quel giorno era stata toccata per la prima volta nella storia da un oggetto di fattura umana, la sonda sovietica Lunik 2: evento che a parer di Zanzotto (meno incline di altri a entusiasmarsi per le meraviglie della tecnica) poneva fine, di fatto, alla poeticità dell’astro.
[Lettura di 13 settembre 1959 (Variante).]
La seconda poesia è Oltranza oltraggio, il cui argomento è la sfuggevolezza della Musa, che salta e «saltabecca» di qua e di là…
[Lettura di Oltranza oltraggio.]
La terza è L’elegia in petèl, che ha qualche passo nel linguaggio usato coi bambini da mamme e tate, appunto il petèl, e che giuoca colle contraddizioni per prendere in giro le false certezze della quotidianità ecc. (Nota: «Scardanelli» era lo pseudonimo usato da Hölderlin nelle sue ultime poesie.)
[Lettura di L’elegia in petèl.]
Per finire, leggerò d’un sol fiato tre pezzi da Il Galateo in bosco, silloge dedicata al bosco del Montello, dove Monsignor Della Casa componeva aulici sonetti nel mentre che progettava il celebre manuale suo di belle maniere, e dove qualche secolo dopo si consumarono le spaventose stragi della prima guerra mondiale. Questi i pezzi:

● un sonetto, dove ci si rivolge prima all’Italia e poi alla forma stessa del sonetto;
● alla pagina appresso, una doppia epigrafe in prosa, composta da un frammento pubblicitario piú un appunto su una possibile proposta di libro educativo;
● alla pagina appresso ancóra, infine, la poesia in dialetto (E po’, muci) – cioè (E poi, silenzio!) – che tradotta suona cosí: [lettura della traduzione].
[Lettura di POSTILLA – (Sonetto infamia e mandala), «Piú propriamente…» «Un libro da proporre…» ed (E po’, muci).]

venerdì 7 ottobre 2011

Nonna Immacolata e i sogni di Dio

7 ottobre 2011: oggi sono venti anni dalla scomparsa di Immacolata Cardillo (1903-1991), mia nonna paterna e, come detto domenica scorsa durante l'introduzione a De natura mundi, «persona che piú ho amato nell’infanzia».

Portale della casa antica,
in una foto del 1992.
Dal 1968 al 1973 ho vissuto con nonna Immacolata e i miei genitori, là al secondo piano di tre d'un palazzo del tardo Settecento di proprietà degli eredi del secondo Ferdinando Palasciano nato in Capua (il celebre prozio medico era stato il primo; mio padre fu il terzo e ultimo). C’era un giardino cinto da alte mura, con limoni più o meno montaliani, e una pergola d'uva sul garage-torretta; e finestre e balconi s’affacciavano su lì e sulla strada, via Lorenzo Menicillo (alto prelato d'epoca barocca); dov’era pure, senza soluzione di continuità col palazzo nostro, un convento di, per fatalità, immacolatine.

Geranio su un balcone della casa
nuova, in un disegno del 1976.
Poi la triade padre-figlio-madre si spostò fuori del centro storico, negli arborati pressi della stazione, al settimo e sommo piano di un arioso condominio modernissimo. Quanto a nonna Immacolata, visse ancora per qualche tempo nella casa antica, col vecchio gatto bianco, e poi dalla sorella sarta, la buona zia Maria, dove pure l'andavo a trovare, io ormai liceale.

Il palazzo di via Menicillo, venduto nel 2000 e rimodernato;
prima non era bianco. Foto del 2009, tratta da Google Earth.

Il liceo era finito da un paio d'anni quando a séguito d'una frattura al femore accogliemmo la nonna in casa nuova. Pochi anni dopo morì, il 7 ottobre 1991. Ed esattamente vent'anni dopo, nello studio che è stato la sua stanza, sotto il planisfero orteliano, mi trovo ad avere or ora concluso la stesura del programma del seminario a lei per concomitanza consacrato, De natura mundi, iniziato questa settimana.

Sarà bello per ora e qui concludere con un lapsus pronunciato un giorno dei suoi ultimi anni dalla nonna, meraviglioso, impressionante oracolo:

— Io spero che il Signore t'aiuti a realizzare tutti i suoi sogni.

lunedì 3 ottobre 2011

Introduzione a «De natura mundi»

Si riporta qui di séguito, per intero, il testo del discorso introduttivo al seminario De natura mundi, discorso da me tenuto nella serata di ieri, a Palazzo Lanza, ad apertura dell'evento. Dopodiché si è tenuta la prima parte, della durata di circa un'ora e mezza, della lezione-spettacolo De Magna Rota Rerum Humanarum. Gli spettatori di questa prima puntata sono stati una quindicina: il quadruplo del previsto, più o meno. Non disponendo di fotografie a documento della lezione, ne utilizzerò qui una del 2010, opera di Patrizio Cimmaruta, che mi ritrae con sullo sfondo la Ruota palascianiana, pure iersera usata. Questo qui sotto, intanto, è l'esterno del Trittico delle delizie di Hieronymus Bosch, eletto a emblema di De natura mundi.


INTRODUZIONE
A DE NATURA MUNDI. L'INTERPRETAZIONE
DEL MONDO IN OTTANTA GIORNI
Capua, 2 ottobre 2011

Gentili signore, signori ed eventuali robot,
sono Marco Palasciano, mezzosangue capuano-siciliano, pensatore eclettico, artista multidisciplinare, umilissimo Presidente dell’Accademia Palasciania fondata nel 1999. E innanzitutto vi ringrazio per la vostra presenza. Grazie, tante nella misura in cui fu lungo e accidentato il vostro viaggio per raggiungere questa sala; del che speriamo di potervi dare consolazione con la nostra arte, per quanto essa sia modesta e fallibile. Pure ringraziamo il palazzo che ci ospita, e i suoi padroni, di cui siamo servi.

Ma oltre a Palazzo Lanza, quest’autunno a ospitare le nostre lezioni-spettacolo sarà anche Palazzo Fazio; ed è forse la prima volta nella storia che le due roccaforti della cultura capuana contemporanea, Palazzo Fazio e Palazzo Lanza, sono coinvolte in un medesimo, unico megaevento lungo, vasto, ambizioso e (credeteci) meraviglioso come questo che la nostra accademia «di nulla accademia» ha per voi organizzato. Tutto gratis. Solo per amore. Senza trucchi né pentole in offerta.

Introduciamo dunque il seminario. Titolo: De natura mundi. In italiano sarebbe: Sulla natura (o l’essenza costitutiva) del mondo (o dell’universo). Del quale si proporrà una interpretazione (vedete voi se in senso attoriale o filosofico o ambedue i sensi), interpretazione per quel che sia possibile completa (benché non proprio ad altissima definizione), in dodici lezioni-spettacolo – tenute da me – distribuite nell’arco di ottanta giorni, come il Giro del mondo di Jules Verne. Difatti il sottotitolo del nostro seminario è L’interpretazione del mondo in ottanta giorni. In luogo di ciò, sarebbe stato forse piú aderente alla sostanza del discorso – ma, probabilmente, tanto ostico da scoraggiare il popolo – un sottotitolo come Il giro della mia Weltanschauung in ottanta giorni. «Weltanschauung» è la «visione del mondo», nel gergo dei filosofi; e in effetti, quel che farò da qui a Natale o quasi sarà parlarvi della mia visione del mondo, da Dio alla merda e ritorno – poeticamente parlando – o in altro ordine.

La mia visione personale del mondo, dicevamo. Ma – poiché la mia umile persona, nell’opinione unanime dei dotti, è un homo universalis tipo Leonardo o Goethe – si tratterà di una visione interessante piú di quella, come oso sperare, del vostro vicino di casa (a meno che abitiate in un Tardis parcheggiato in un vicolo di Königsberg). E a un tanto interessante contenuto vedremo di associare degna forma, dunque di divertirvi, e di commuovervi, quanto meglio si possa, grazie alla messa in opera, all’occorrenza, di tutte le risorse linguistiche ed artistiche che il Karma o quel che sia ha messe a disposizione del nostro ingegno, dalla poesia al teatro alla musica ecc.; e, scordavo, faremo anche dei giuochi. (In quanto a mezzi tecnici, qui abbiamo un proiettore ed a Palazzo Fazio un pianoforte.)

Nel corso delle dodici puntate di De natura mundi, vedremo inoltre di celebrare il piú degnamente possibile le ricorrenze che capiteranno in quei giorni. Come il compleanno di Andrea Zanzotto, massimo poeta italiano vivente, che coinciderà con la prossima puntata; o dello scrittore, nato un 30 ottobre, Antonio Moresco, l’autore di Canti del caos, quantomeno il maggiore romanzo degli ultimi trent’anni, in Italia se non in Occidente. Ma si commemoreranno anniversari anche piú personali, se acconsentite, come il trentacinquesimo della mia prima opera letteraria, una serie di filastrocche che scrissi a otto anni, nel novembre del 1976; o come il ventesimo della morte della persona che piú ho amato nell’infanzia, la mia nonna paterna, spentasi in un ospizio di Castel Volturno il 7 ottobre del 1991, data che per ciò stesso segna anche la fine della mia lunga infanzia. Ecco: metterò insieme questi due elementi, la nascita della poesia su carta e la morte della poesia incarnata, in un angolo loro di una puntata dedicata – come dire? – alle memorie del mondo, ai mondi della memoria… Temi, peraltro, che abbiamo già toccato solo otto giorni fa, sempre qui a Palazzo Lanza, in occasione dell’evento S’i’ fossi poeta cangerei ’l mondo, dove come gli altri poeti convenuti ho tenuto una dissertazione sul tema Può la poesia cambiare il mondo?, e ho concluso sull’idea di letteratura come pilastro della civiltà. Parafrasando Foscolo: i monumenti, i sepolcri possono essere cancellati dal tempo, fino a che non resti piú una pietra; ma la poesia può continuare a eternare le gesta di quegli uomini e donne, e soprattutto il loro significato.

«Significato»: questa parola – venendo finalmente alla lezione di stasera – è anche il nome che, nel corso dei miei ultimi studi, ho assegnato a uno degli otto settori in cui possiamo dividere, fondamentalmente, il mondo degli interessi umani. Otto; e ognuno di essi può dividersi, ulteriormente, in due; e fanno sedici. Significato si dividerà allora in Filosofia, da un lato, e Cultura e comunicazione, dall’altro. Parimenti la Bestialità si dividerà in Selva e Trogolo, a seconda se si sia “lupi” e “leoni” o, piuttosto, “porci” e “pecore”. Parimenti il settore Scienza e tecnica si dividerà in… Scienza e Tecnica. E cosí via.


Ora, questo giocattolo filosofico è la Ruota palascianiana. Si compone appunto di sedici settori. (Della versione a otto, e delle varie versioni a quattro, e di quelle a due, tratteremo la prossima puntata, a fine lezione, a mo’ di ciliegina sulla torta.) Come avrete capito si tratta d’uno schema circolare – a torta, appunto – atto a sintetizzare nella sola propria immagine, facilmente rammemorabile per sequenzialità e simmetria, l’intero mondo degli interessi umani, cioè la gamma completa delle pratiche umane e dei valori correlati. Uno schema sul quale forse non tutti potranno essere d’accordo, ma intanto rivelatosi abbastanza efficace come macchina generatrice di spunti di riflessione.

L’autunno scorso questa Ruota è servita da base per un ciclo di otto lezioni – tenutesi a Palazzo Fazio – nelle quali di volta in volta si affrontavano (non dico come pugili su un ring, ma quasi) due settori tra loro diametralmente opposti. Nella prima e seconda puntata di De natura mundi riproporremo tale formula, prendendo il meglio degli argomenti trattati allora, per poi passare a nuove trattazioni nelle puntate dalla terza in avanti.

Titolo di questa prima, propedeutica coppia di puntate: De Magna Rota Rerum Humanarum: la sistemazione delle pratiche e dei valori umani nella Ruota palascianiana. Stasera a Palazzo Lanza la prima parte, e tra otto giorni a Palazzo Fazio la seconda parte. Iniziamo.