giovedì 31 dicembre 2020

Dilaga lo scandalo della falsa poesia di Whitman

Da settimane Walt Whitman si rivolta nella tomba, per lo spot natalizio di Esselunga che gli attribuisce falsamente quell'orrenda poesia, e voi non dite niente. Possibile che in tutto il mondo me me sia accorto solo io?

A un certo punto della versione lunga della suddetta poesia, Non lasciare, facilmente trovabile in Internet, l'ignoto autore ha infilato questo:
«“Riecheggiano le mie barbariche urla sopra i tetti del mondo”, dice il poeta».
Ebbene, il «poeta» citato è Whitman. «Riecheggiano le mie barbariche urla sopra i tetti del mondo» è un verso ritagliato dal suo Canto di me stesso.

Da qualche parte, nella rete, qualcuno lo avrà annotato; e qualcuno, nel leggere tale annotazione, si sarà confuso, e avrà creduto che Whitman fosse l'autore di Non lasciare anziché di quel singolo verso citato.

Per scrupolo, comunque, ho sfogliato tutto Whitman. E quella poesia non c'è.

sabato 26 dicembre 2020

Due sonetti, di Palascianio e Ventre, con le stesse rime

Marco Palasciano
SONETTO CONTRO
CHI È CONTRO IL PANDORO

Mai capirò, bench’i’ abbia ampie le chiocche,
la crudeltà inumana di coloro
che spregian me che mangio il mio pandoro.
Ch’acri insulti ne colan dalle bocche!

E quand’io per le rime – sian barocche,
minimaliste o rap – rispondo loro,
s’adontano, d’ipocrita disdoro
insuperbendo; e mostrano le nocche.

Tira il diavolo (l’etimo suo è noto)
i fili del razzista, del fanatico
religioso et similia. Aborre il vuoto,

invece, ed ogni divisione, l’angelo
che m’ha educato alle virtú che pratico;
e a quei rei mira, al cuor loro atro, e piàngelo.


Daniele Ventre
SONETTO SULLO STESSO TEMA

Saranno le abitudini farlocche,
o le idiozie pensate di straforo
da spregiatori di mediocre coro
e proni a falsità, ricette sciocche.

Rosicano per mucide bicocche,
poi vomitano ubbíe di similoro,
nudi del benché minimo decoro
sudditi al falso per idee tarocche.

Ha il razzistello il diavolo a piloto
e per malignità si fa scismatico
e bacia madonnine al vano voto:

ma fra scenografie da Michelangelo
scacciano all'Ade il fascistello asmatico
poi mangiano pandori angelo e arcangelo.

giovedì 24 dicembre 2020

Un’altra poesia di natale di Marco Palasciano (pseudosonetto con prestito leopardiano)


Odi per lo sereno un suon di squilla.
Zampognari? No: macchine nel traffico,
lungi, oltre gli eucalipti, non so dove.
Natale i canti immilla, di consueto;
ma or non un canto: solo un clacson. Solo
io sto. Né splende il sole. Forse piove.
Nulla può consolarmi, nulla lieto
renderà questa me**a di Natale
pandemico, nemmeno il buon pandoro
– che tanti snob osteggiano co**ioni,
avvezzi ai disgustosi panettoni –
portatomi da un’anima gentile.
Non mi suicido, ma... che ca**o, porca
pu**ana, anzi Wuhana! Bah, abbozziamo.

mercoledì 23 dicembre 2020

La poesia di Natale di Marco Palasciano (sonetto)


Babbo Natale, eggrègora gioviale,
che fai di questi tempi saturnini?
Che porterai a noi bravi bambini,
noi ligi alla clausura antivirale?

Lo statuto ontologico speciale
che hai tu fa sí che tocchi e non inquini.
Son qui che attendo i doni tuoi divini.
Sul tetto atterra. Scendi per le scale.

Bussami, t’apro. Già lo sai che voglio:
– su un vassoio di rame sette teste
mozze di dittatori, quelli veri;

– su un vassoio d’argento un quadrifoglio
che scacci gli imbecilli e ogni altra peste;
– su uno d’oro chi è il Sol dei miei pensieri.

sabato 7 novembre 2020

Lettera a «L’Avvenire» (che non risponderà)

Riporto qui un post da me pubblicato in Facebook alle 22.59 di oggi, 7 novembre 2020.
RISPOSTA AGLI OTTO MOTIVI
DELL’ARTICOLO DI «AVVENIRE»
CONTRO LA LEGGE ZAN


1. QUEI POVERI BAMBINI.
Voi dite che ai bambini nelle scuole «si finirebbe per cercare di far credere che l’esperienza che vanno facendo della realtà è una finzione essendo l’umanità non declinata al maschile e femminile». Ma quando mai qualcuno ha cercato di far credere una cosa del genere? Questa accusa è tipica di chi va sproloquiando della fantomatica “teoria del gender”, che non esiste.

2. LA NEOLINGUA ORWELLIANA.
«Riscrivere la natura umana»? La Commissione Affari costituzionali, semplicemente, aveva invocato l’opportunità di chiarire maggiormente i concetti, al fine di evitare incertezze in sede applicativa; preferivate forse che si restasse sul vago? avreste protestato lo stesso, se non di piú.

3. PER NON RESTARE SUL VAGO.
Ecco, appunto, ve ne siete resi conto anche voi. Ma allora di che stiamo parlando? ah, riecco: del vostro timore che si possano «perseguire come discriminatorie quelle che di fatto sono concezioni differenti della natura umana, oggetto di legittimo confronto e di convinzioni profondamente radicate nella coscienza di tanti cittadini». Orbene, se tali convinzioni però non sono scientifiche, non hanno alcuna legittimità, cosí come il terrapiattismo di fronte all’evidente sfericità della Terra. Che i vostri dogmi rimangano pure colle loro radici ben infitte nella vostra coscienza; ma non spingano, per cortesia, i loro germogli a urticare le coscienze e le vite altrui.

4. QUANTA INTOLLERANZA POSSIAMO TOLLERARE.
«Fissazioni ideologiche»? I fissati siete voi. Finitela di perseguitare le famiglie omogenitoriali con i vostri disumani Family Day, per dirne una, e di lagnarvi di essere voi i perseguitati. «Troppo largo è», dite, «lo spazio per l’interpretazione discrezionale di cosa possa istigare ad atti discriminatòri o persino alla violenza»; ma scusate: basterà che vi sforziate di parlare in modo piú chiaro e meno fraintendibile, no? è un eccellente esercizio che non potrà che far del bene alla vostra dialettica; la quale, a giudicare dall’articolo in questione, al momento ha basi alquanto fragili.

5. LA DISPARITÀ DELLE PARITARIE.
«La scuola paritaria che non vuole celebrare la Giornata anti-omofobia può farlo o è destinata a pagare questa sua intangibile libertà?» A me farebbe piacere che pagasse. Dopotutto, le scuole paritarie non son “sfondate di denari”? e non godono già di troppi privilegi?

6. LO SPETTRO DELL’ANARCHIA.
«Se posso essere ciò che voglio, e contando davvero solo quel che io dico di me stesso, tutto è fonte potenziale di discriminazione nei miei confronti». No, non tutto: solo l’intollerante che vuole metter bocca per forza, sindacando sull’intimità altrui.

7. GAY LIVES MATTER.
Mi disgusta come cerchiate di sminuire un profluvio di violenza che è da sempre sotto gli occhi del mondo. Non so piú di quante tragedie e traumi ho dovuto leggere nella cronaca, o sentire da diretti testimoni. A una mia amica quasi cavarono un occhio. In certe città due uomini non possono passeggiare la mano nella mano senza venire aggrediti verbalmente o peggio: è vita questa? E voi lí a calcolare se ci siano o no abbastanza vittime all’anno…

8. BEN ALTRO A CUI PENSARE.
Il vostro ultimo motivo è un capolavoro del piú banale e basso benaltrismo; meriterebbe senz’altro in risposta un’unica parola, che inizia per “fan” e finisce per “lo”; ma sono troppo un signore. Come che sia, serve forse ch’io aggiunga che questo tira e molla va avanti non da qualche mese, ma da decenni? La gente discriminata non ne può piú di attendere; e questo è proprio il momento giusto per darle finalmente la Legge tanto attesa, altro che rimandare oltre. C’è, infatti, la pandemia; per questo, non c’è mai stata tanta angoscia generalizzata, prima d’ora, qui, come altrove, da molt’anni a questa parte; a ciò si sommano i disagi specifici delle persone lgbt+ nell’essere considerate da tanti, e spesso trattate, come cittadini di serie B; dunque quale miglior momento per fornire un motivo di sollievo, di rinforzo morale, di speranza nel futuro, alla parte piú oppressa e bistrattata – dopo forse i poveri – della popolazione italiana? E poi, «Chi salva una vita salva il mondo». Voi perché volete rendervi, invece, complici del protrarsi di questa condizione umiliante e, alla lunga, dolorosa già di per sé, senza bisogno di morti e feriti? Perché non potete semplicemente tacere, per una volta, per carità cristiana, prima che vi debba tacitare la Legge? Che poi nemmeno vi taciterà, fidatevi. State facendo un pandemonio inutile.

lunedì 29 giugno 2020

«La ginestra» a Villa delle Ginestre, 29 giugno 2014

Oggi è il 222° genetliaco di Giacomo Leopardi. Per l'occasione, ecco finalmente pubblicato in YouTube il video della mia lettura de «La ginestra», tenuta sei anni fa a Villa delle Ginestre in occasione del 216° genetliaco:

sabato 18 aprile 2020

L'unico risvolto positivo della quarantena


Grande novità! son tornato, dopo venticinque anni, a fare cinema. Si tratta d'una webserie: Come non impazzire in casa. Qui la presentazione nel blog dell'Accademia Palasciania. Finora ho realizzato tre episodi, sui dodici previsti. In foto: Dante e Virgilio nell'episodio II, Cosa fare nel caso incontriate animali selvatici.

giovedì 19 marzo 2020

Marzo pazzo

Capua, 19 marzo 2020

Com’è possibile, nonostante la pena che provo per tutti i vecchini a rischio di sparire e i bambini privati d’aria e sole, et alia trístia, che non mi venga da piangere per l’Italia del 2020 bensí per l’Austria del 1938 oppressa dai nazisti e per il fiore che rappresenta l’Austria, l’edelweiss, a sentire per radio la colonna sonora (https://www.youtube.com/watch?v=LUBKrxvQYhA) di The Sound of Music? Sarà che sempre di umanità si tratta. E la musica rende piú fluido il meccanismo empatico. Probabilmente, se gli speaker della tv cantassero, piangerei, sublimando. Invece i telegiornali, cosí come essi sono, è meglio se non li guardo piú. Serve cercare di tenersi allegri. O qua va fuor di sesto il sistema immunitario.

Per casa – come già da tre anni a questa parte, da che abito da solo, quassú all’ultimo piano di questa turris idealmente ebúrnea da cui vedi sia Ischia sia il Tifata – cammino meditando, monologando, dialogando con chi non c’è, cantando con l’improvvisare arie d’opera o recitativi su un qualsiasi discorso che m’esca naturale («Che ci mangiam stasera? vediamo in frigorifero...»), improvviso concerti al pianoforte per la gioia o la noia di chi sente da fuori, compongo poesie e anagrammi, scrivo il diario arretrato, mi do a progetti vari pieni di speranza, guardo ogni tanto un film di fantascienza (non bastasse quello che sto vivendo), poi c’è Facebook, YouTube, l’odore altrui su una maglietta ecc.

Ma oggi comincio a stare un poco male.

Non esco di casa dal 9 marzo. Soprattutto, non abbraccio un amico né un’amica dal 26 febbraio; e tutta la mia vita poggia da sempre sull’affettività!, non vedendo altro da venerare: aborro il denaro, il potere, la fama; solo amore, puro amore, amore assoluto che fa vedere le persone come divinità – che hanno scordato d’esserlo – e fa meravigliare che camminino sulla terra, dai passanti sconosciuti agli amici e amiche in cima all’Amicarium, e non scordiamo i cani randagi e i passeri e gli insetti.

Mi meraviglio anche di come l’impossibilità di abbracciare chicchessia fino a chissà quando, forse giugno, non mi abbia ancora fatto impazzire del tutto. Eppure soffro di carenze affettive e di ansie da abbandono praticamente dalla nascita, da che mia madre ebbe la setticemia e dovettero tenermi separato da lei proprio nei primi giorni di vita. Per questo tendo a stare sempre azzeccato ’ncuollo ai piú amati amici, tra abbracci fusionali, baci sulla fronte, alle mani, carezze a capelli e peli, dinanzi a tutti e lungo intere agàpi, e i festival-laboratori dell’Accademia Palasciania promuovono l’abbraccioterapia e quant’altro sia d’alimento all’umana armonia. Sempre per quell’arcaica ferita sono ipersensibile, semiparanoico, una piccola promessa mancata mi getta nel dolore quasi fosse il piú atroce tradimento, non ci sono mezze misure: o mi sento in paradiso o mi sento all’inferno.

Per grazia della sorte, questo cuore friabilissimo è protetto e sorretto dall’impalcatura d’un possente intelletto adamantino, modestamente, e insomma la mia filosofia m’aiuta, come altri sarà aiutato dalla sua religione o altra epistème. E cosí, pur costretti, io e i miei affetti piú cari, alla separazione fisica, dispersi fra case lontanissime, ci vedo sempre uniti – ab æterno e ad æternum, anzi fuori del tempo –, in quanto anime, a modo d’un reticolo di stelle, nella profonda Verità Splendente, su di un piano ontologico superiore (sia pur non per valore; lunga storia) a quello di quel ludico sogno, o gioco onirico, che è il mondo materiale.

Tuttavia, poiché intanto è in questo mondo che ho da giocare la mia attuale partita, ovvero vita, tocca considerare l’avere un’età a rischio, quasi cinquantadue anni, e l’aver già avuta – meno di quattro anni fa – una broncopolmonite, per cui ho davvero paura di finire «in un fondo di letto allo spedale», le mie cellule in lotta con i microscopici Robot della Morte partiti dalla Cina, sradicato di colpo – per tornarvi poi chissà quando o non tornarvi piú – dalla mia casa tanto bella e disordinata, i miei strumenti, i diecimila libri, i ricordi dei miei cari morti, l’eco cristallizzata del loro amore, la cui luce invisibile concilia tutte le notti il mio piccolo sonno dentro il grande sonno.

Perciò ieri, saputo che i Robot della Morte sono oramai arrivati a soli cento metri da qui, in Viale Ferrovia, se ho ben inteso in quel villino liberty dove oltre un secolo fa si trovò a pernottare – o cosí dicono – Jules Verne in persona, ho deciso di non uscire piú fino a fine pandemía. Neanche per andare al supermercato. Oggi ho chiesta l’elemosina d’un limone e d’un quartario di riso alla maestrina mia vicina e coetanea, domani un vicino giovane e forte (che da bambino andava da lei a ripetizioni) mi farà la spesa.

Intanto un articolo letto oggi mi ha gettato di peso nell’anticamera della depressione. Quando sarà finita l’emergenza, attestava, il mondo sarà comunque mutato irreversibilmente. Non ricordo neanche piú cosa ho letto tant’era scorante. Inoltre ho visto – e rivisto – il video del carissimo Dario che narra della sua vita sospesa (https://www.facebook.com/jdario92/videos/10219932530858121) e ho provato tanta pena per lui, a vederlo cosí teso e a letizia dimidiata, lui il cui abbraccio trasmette una cosí bella luce spirituale, tanto che a Capodanno 2019, fatti i provini a tutti, ebbi a scegliere lui – pur se appena presentatomi – come sostituto di mia madre per l’abbraccio di mezzanotte.

Ora, è straziante ed è splendido constatare come tanti conservino, nonostante quest’ora cosí buia, o semibuia (dopotutto non è il 1938), la loro luce, sempre, che traspare, come nel video di Dario, dietro i volti stanchi, stressati, a tratti disperati, disperazione o disperazioncella che non ci impedisce di cercare comunque d’allestire qualche momento allegro, lontani eppur vicini piú che mai, chi con l’alzare cori dai balconi (ma senza che si esageri o diventa un supplizio per i reclusi di fronte), chi con un videoselfie in cui schitarra, chi con gli arcobaleni dei bambini, chi con un meme o con un video buffo: la moglie col marito travestito da dàlmata al guinzaglio, le imitazioni del governatore, tutto quel che si può.

C’è chi non può giocare, chi vede passare sotto i suoi balconi una carovana di bare o aleggiare su sé, se non Morte, Miseria. Ma chi ha la buona sorte di vivere come unico disagio il dover restare a casa nonostante i suoi anèliti, porti pazienza, io porterò pazienza, ma se non ce la fa cerchi un aiuto, i numeri ci sono, forse anch’io chiamerò. Forse non gli psicologi, forse solo un amico.

Ecco, anche scrivere questo post mi ha un poco confortato. Umana cosa. E chissà che qualcuno non abbia poi trovato del conforto nel leggerlo, perfino.

martedì 10 marzo 2020

Capua, 9 marzo 2020

Secondo gli istogrammi, intorno alle 15.00 troverò meno gente al supermercato, e a quell’ora dunque esco; non uscivo da una settimana; nel frattempo, tutto in città è mutato; atmosfera da film di fantascienza; mi muovo come in un videogame stilizzato anni ’80, calcolando il percorso tra le persone in modo da mantenere in ogni istante la distanza massima tra me ed esse, tipo Ipazia che traccia l’ellisse; al supermercato, dove mascherinato e guantato è ogni cassiere, la guardia non ti fa entrare se un altro cliente non esce; pur io sono in mascherina (da cantiere, ahimè poco idonea) e guanti di nitrile, altre persone si limitano alla sciarpa rialzata fin sul naso; io, avendo pur gli occhiali da sole, ché c’è un sole radioso, e il cappello di lana, sembro una tartaruga ninja o l’uomo invisibile; spalmo d’Amuchina il manico del carrello; per digitare sul touch screen della bilancia, non bastassero i guanti, interpongo uno strato in più di plastica; e mi vien d’aiutare come al solito, in ispecie alle casse, qui invitando un signore con meno spesa a passarmi innanzi, lì offrendo a una signora a braccia cariche un carrellino, ché omise di pigliarne; più tardi ho da ire in farmacia; si fa la fila fuori, a due metri di distanza l’un dall’altro; grande civiltà; una signora e un signore che lieti si riconoscono dialogano da lontanissimo, reprimendo l’espressione dell’affetto ma non l’affetto in sé; una signora alle mie spalle tossisce, elegantemente mi elongo lateralmente d’altri due metri, cartonianimatesco; dentro, la farmacista sta a naso scoperto, mascherina solo sulla bocca, ond’io: «Dunque i virus non entrano dal naso?»; «Sì, ma non ce la fo più, non respiro»; con piacere noto, infine, che a guardar le altre persone non le vedo come appestati, ma come bellissime creature a me fraterne, più che mai preziose, degne d’ogni sostegno e amore; di ciò mi beo, quasi rapito in estasi; o aurea felicità, poesia eternale, mia Verità Splendente, in che anfratti del vivere ti celi!