lunedì 23 settembre 2013

Due sonetti genetliaci paralleli

I sonetti peggior ch’i’ abbia mai scritto! :D


Per R.

Del tuo spirito la beltade immensa
fin dal novantatré m’illuminò
tal che, pensa e ripensa, dir non so
cosa ch’eguagli ciò, pensa e ripensa.

No no no no. Cosa ch’eguagli ciò
dir non so, benché in me sia ricca e densa
la materia – pour ainsi dire – che pensa.
Non so dir. Non so dir. No no no no.

Pur, qualche cosa dovrà dirsi in questo
ennesimo sonetto, fuor del solito
«happy birthday to you» che nulla dice.

No. Nulla dico. E a te, cuor pio e rubesto
(din don dan!), i’ e don Dom (mio domo accolito)
due don diam che faranti – oriam – felice.


Per C.

L’immensa del tuo spirito beltade
fin dal novantacinque illuminommi,
tal che dire non so (par mi s’ingrommi
la mente) cosa che ciò eguagli. (E cade

la penna, indi rimbalza e a vol mi rade.)
No. Dire ciò non so, benché sian sommi
quegl’innati saper ch’il ciel donommi.
Sarà ch’essi l’età, avanzando, abrade.

Pure, qui in quest’ennesimo sonetto
qualcosa dovrà infine – fuor dell’«happy
birthday to you» che nulla dice – dirsi.

No. Nulla dico. E a te, cuor magno e netto,
due don diam i’ e don Dom (che, a quel che seppi,
ha il piú netto e maggior – vuoil pur? – dei tirsi).

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