Ci sto ancora pensando, e probabilmente tornerò ogni tanto a pensarci per il resto della vita. Giovedì scorso ho trovato presso il cancelletto d'ingresso un povero millepiedi che qualcuno doveva aver semischiacciato con la suola passando distrattamente. Circa un terzo del suo corpo era inerte, attaccato al resto solo per un filamento di carne; il resto era vivo e zampicolante.
Non avrei mai potuto lasciarlo lì senza soccorso, per la legge morale che è pure in voi se avete mente sana. L'ho raccolto e ho pensato a cosa potessi fare per essergli utile. Ucciderlo così che, terminate le sue sofferenze, si reincarnasse al più presto e vivesse da zero una vita nuova? O limitarmi a operarlo, tagliando via la parte ormai morta, sperando ch'esso potesse vivere anche senza?
Infine, da buon erede del più coscienzioso chirurgo dell'Ottocento, l'ho operato e liberato in un'aiuola, non parendomi giusto decidere al posto suo se dovesse vivere o morire. Cosa ne sarà, quanto ancora vivrà, ignoro. Ma almeno, se gli era destinato nonostante tutto ancora qualche momento felice, lo avrà, e io non sarò stato colui che lo ha privato di questo. O dite che ho sbagliato?
Aggiornamento. Risposta d'un amico prof di scienze: «Essendo un animale segmentato, ossia con una intera serie di organi in ogni segmento, ci sono non poche possibilità che sia sopravvissuto. Sempre se intanto non se lo è mangiato qualche animale più grosso».
lunedì 3 dicembre 2018
Dubbio morale su un millepiedi mutilato
mercoledì 7 novembre 2018
«Agnus Day» di Marco Palasciano e altri 19 corti di allievi della Libera Università del Cinema
Set di Tizio e Caia. Palestrina, 14 maggio 1993.
Nella foto in basso, seduto, è il direttore della Libera Università del Cinema, Leonviola. |
Mi sono quindi messo a scavare e – anche se non c'erano gli altri due miei corti scolastici, Lazarus e Blues – ne ho trovati diciannove diretti da dodici miei compagni di studio di allora, o allievi di poco successivi che pure conobbi in quegli anni.
In ordine di punteggio nell'Amicarium 1993-2018: Irma (1441), Sergio (1199), Tamer (1054), Pétur (993), Alonso (603), Fulvio (524), Erika (476), Francesca (428), Irene (402), Arzu (102), Luciana (86), Jessica (50). Chi dall'Italia, chi dalla Turchia, chi dall'Egitto, chi dall'Islanda, chi dal Messico, chi dalla Colombia, chi dal Brasile. Ed ecco qui di séguito linkati i nostri corti; cliccare sopra i titoli e gustare.
Marco Palasciano
Irma Isela Gómez Zapata
Sergio Russo
Tamer El Boustany
Pétur S. Jónsson
Fulvio Sturniolo
Francesca Dantone
Irene Franchi
Arzu Volkan
Luciana Migliaccio
Jessica Giaconi
giovedì 1 novembre 2018
Ho una notizia buona e una cattiva
La buona è che i quattro gatti che c'erano ieri a Circo Universo, la quarta puntata di Ortelius Room (come sempre a ingresso gratuito), hanno assistito – entusiasti – alla mia performance attoriale più bella degli ultimi nove anni (cioè da quando l'Accademia Palasciania ha iniziato ad allestire questo genere di lezioni-spettacolo): mai fu più esilarante di così, mai fu più commovente di così, mai fu più affratellante di così.
La cattiva è che voialtri ve lo siete perso.
La cattiva è che voialtri ve lo siete perso.
venerdì 11 maggio 2018
Anche questo era un post di Facebook, ma da tempo trascuro di specificarlo
Quest'oggi a mezzogiorno, andando in retromarcia, distrattamente ho distrutto uno specchietto laterale della mia povera vecchia auto contro lo spigolo d'un furgone scoperto.
Che tristezza!
Ma uno slavo barbuto e fraterno, dei tre che – proprio allora ultimate le loro mansioni mattutine lì in cortile, non so quali – erano in via di smontare dal lavoro e montare sul furgone, sua sponte ha rimontato, raccoltolo da terra, l'elemento riflettente; il resto era tutto spaccato, mutilato, deformato (spiegavo intanto, mogio e rassegnato, che ero sovrappensiero – da cui la distrazione-distruzione – per certe visite mediche da fare); quanto al furgone, come un robot da combattimento che si scontri con una farfalla di balsa, non s'era fatto niente; né quelle anime gentili ci hanno badato più di tanto.
Si sono invece curate, eorum sponte, anche di far da guida al resto della mia manovra, pur se non v'era bisogno, fin segnalandomi le auto transitanti fuori il cortile che lasciavo.
Più tardi, di ritorno dalla farmacia, in cortile ho incontrato dei cari vicini (da sempre premurosi sia con me sia, quando c'era ancora, mia madre) che mi hanno offerto del nastro adesivo, per tener meglio insieme il povero specchietto; e mi hanno regalato tutto il rotolo, tanto – hanno detto – l'avevano comprato per sbaglio.
Infine, sono stato contento dell'incidente, perché così ho potuto ricevere le gentilezze degli slavi e dei vicini (analogamente, quando i carabinieri mi fermano per controlli di routine mi sento confortato, perché è pur sempre un contatto umano); e lo specchietto è ancora, incredibilmente, funzionante.
Restano solo due dubbi: (1) gli slavi erano polacchi o albanesi? avrei voluto saperlo per scriverlo nel mio diario; e: (2) sopravviverò a questi giorni, a questi mesi...?
Come che sia, nell'andare alla visita medica di oggi – intorno alle 17.00 – dopo aver parcheggiato ho passeggiato, per raggiungere lo studio dello specialista di turno; e, pensando all'eventualità di dover morire o semimorire, m'è parsa più che mai miranda ed epifanica la città mia natia, a percorrerne i vicoli e le piazze, tra le arcate e i giardini, i bassorilievi antichi incastonati nei palazzi medievali, sui tetti delle chiese più alte gli arbusti selvaggi – e fioriti, di strafottenti fiori purpurei –; qui il busto del più grande musicista capuano dell'Ottocento, lì la statua del re spagnolo più malaticcio e strampalato del barocco; e su tutto una luce aurea, aionica...
Insomma, che bellissima giornata, per quanto la mia vita sia mezza disperata.
Che tristezza!
Ma uno slavo barbuto e fraterno, dei tre che – proprio allora ultimate le loro mansioni mattutine lì in cortile, non so quali – erano in via di smontare dal lavoro e montare sul furgone, sua sponte ha rimontato, raccoltolo da terra, l'elemento riflettente; il resto era tutto spaccato, mutilato, deformato (spiegavo intanto, mogio e rassegnato, che ero sovrappensiero – da cui la distrazione-distruzione – per certe visite mediche da fare); quanto al furgone, come un robot da combattimento che si scontri con una farfalla di balsa, non s'era fatto niente; né quelle anime gentili ci hanno badato più di tanto.
Si sono invece curate, eorum sponte, anche di far da guida al resto della mia manovra, pur se non v'era bisogno, fin segnalandomi le auto transitanti fuori il cortile che lasciavo.
Più tardi, di ritorno dalla farmacia, in cortile ho incontrato dei cari vicini (da sempre premurosi sia con me sia, quando c'era ancora, mia madre) che mi hanno offerto del nastro adesivo, per tener meglio insieme il povero specchietto; e mi hanno regalato tutto il rotolo, tanto – hanno detto – l'avevano comprato per sbaglio.
Infine, sono stato contento dell'incidente, perché così ho potuto ricevere le gentilezze degli slavi e dei vicini (analogamente, quando i carabinieri mi fermano per controlli di routine mi sento confortato, perché è pur sempre un contatto umano); e lo specchietto è ancora, incredibilmente, funzionante.
Restano solo due dubbi: (1) gli slavi erano polacchi o albanesi? avrei voluto saperlo per scriverlo nel mio diario; e: (2) sopravviverò a questi giorni, a questi mesi...?
Come che sia, nell'andare alla visita medica di oggi – intorno alle 17.00 – dopo aver parcheggiato ho passeggiato, per raggiungere lo studio dello specialista di turno; e, pensando all'eventualità di dover morire o semimorire, m'è parsa più che mai miranda ed epifanica la città mia natia, a percorrerne i vicoli e le piazze, tra le arcate e i giardini, i bassorilievi antichi incastonati nei palazzi medievali, sui tetti delle chiese più alte gli arbusti selvaggi – e fioriti, di strafottenti fiori purpurei –; qui il busto del più grande musicista capuano dell'Ottocento, lì la statua del re spagnolo più malaticcio e strampalato del barocco; e su tutto una luce aurea, aionica...
Insomma, che bellissima giornata, per quanto la mia vita sia mezza disperata.
martedì 8 maggio 2018
La lezione più difficile della mia vita
Non sono mai stato tanto stressato in vita mia quanto nelle ultime settimane. E credevo che il peggio fosse stato la preparazione della decima puntata, ma non avevo ancora toccato il fondo. Dopo undici giorni chiuso in casa a lavorare anche 16 ore al giorno e con fretta disperata, finendo tutto all'ultimo minuto, domenica scorsa ho aperto l'undicesima puntata di Dal Paleolitico a Palasciania, davanti a undici scelti uditori, senza sapere se sarei riuscito a chiuderla.
A un certo punto della lezione ho avuto un'ampia fotopsia verdastra, persistente un numero inquietante di secondi, sulla rètina di non so quale dei due occhi; o forse è stato un fenomeno vasopressorio del microcircolo cerebrale; e non so come non mi sono lasciato prendere dal panico e ho continuato la lezione come niente fosse.
Poi, a un cert'altro punto, sentendomi sul punto di collassare fisicamente, mi sono dovuto sedere, mi hanno porto dell'acqua e quasi si è dovuta sospendere la lezione. Ma mi sono sforzato, continuando a declamarla da seduto finché non mi sono sentito, una decina di minuti dopo, abbastanza in forze per tornare al leggio.
La lezione, di inusuale lunghezza, è durata circa tre ore, senza contare i due intervalli; e mi ha prosciugato di ogni energia fisica e psichica, anche perché fra i suoi vari argomenti ve ne erano di personali e dolorosi che non avevo mai rivelato a nessuno o quasi, e che ho deciso di tirar fuori solo in occasione di questa sorta di rito, di inventario rituale, che è l'attuale laboratorio di storia e microstoria, dove tutto va detto – in essenza – di ciò che è stato al mondo.
Il giorno dopo ho dovuto passarlo a riposare, e ogni tanto mi sentivo come se il cuore stesse per cedere. A stento ho resistito alla tentazione di telefonare a qualcuno per chiedere aiuto. Oggi sto leggermente meglio, ma se vi accorgeste che per due giorni di séguito non scrivo niente in Facebook può anche darsi che sia morto.
Spero di sopravvivere almeno fino alla puntata conclusiva di Dal Paleolitico a Palasciania e, sei giorni dopo, la festa per il mio cinquantesimo compleanno e per la consegna dei diplomi. Ci arriverò? o quelle sette-otto anime gentili resteranno diplomandi indiplomati, dopo tanto? sarebbe un peccato; anche per loro dev'essere stato faticoso. Ma anche, oso sperare, meraviglioso.
A un certo punto della lezione ho avuto un'ampia fotopsia verdastra, persistente un numero inquietante di secondi, sulla rètina di non so quale dei due occhi; o forse è stato un fenomeno vasopressorio del microcircolo cerebrale; e non so come non mi sono lasciato prendere dal panico e ho continuato la lezione come niente fosse.
Poi, a un cert'altro punto, sentendomi sul punto di collassare fisicamente, mi sono dovuto sedere, mi hanno porto dell'acqua e quasi si è dovuta sospendere la lezione. Ma mi sono sforzato, continuando a declamarla da seduto finché non mi sono sentito, una decina di minuti dopo, abbastanza in forze per tornare al leggio.
La lezione, di inusuale lunghezza, è durata circa tre ore, senza contare i due intervalli; e mi ha prosciugato di ogni energia fisica e psichica, anche perché fra i suoi vari argomenti ve ne erano di personali e dolorosi che non avevo mai rivelato a nessuno o quasi, e che ho deciso di tirar fuori solo in occasione di questa sorta di rito, di inventario rituale, che è l'attuale laboratorio di storia e microstoria, dove tutto va detto – in essenza – di ciò che è stato al mondo.
La lezione. Palascianèum, Capua, 6 maggio 2018. Foto di Annalisa Papale. |
Il giorno dopo ho dovuto passarlo a riposare, e ogni tanto mi sentivo come se il cuore stesse per cedere. A stento ho resistito alla tentazione di telefonare a qualcuno per chiedere aiuto. Oggi sto leggermente meglio, ma se vi accorgeste che per due giorni di séguito non scrivo niente in Facebook può anche darsi che sia morto.
Spero di sopravvivere almeno fino alla puntata conclusiva di Dal Paleolitico a Palasciania e, sei giorni dopo, la festa per il mio cinquantesimo compleanno e per la consegna dei diplomi. Ci arriverò? o quelle sette-otto anime gentili resteranno diplomandi indiplomati, dopo tanto? sarebbe un peccato; anche per loro dev'essere stato faticoso. Ma anche, oso sperare, meraviglioso.
mercoledì 2 maggio 2018
Ancorarsi alla misteriosa fraternità del desiderio
C'è una stupenda poesia di Bigongiari (in Col dito in terra, 1986) dal lunghissimo titolo, titolo che include la frase «l'homme s'ancre à la mystérieuse fraternité du desir». Non trovo citata la poesia in nessuna pagina del web, stranamente; trovo però parafrasata la suddetta frase a un certo punto d'un romanzo di Armand Gatti (La Parole errante, 1999): «Mots qui se sont ancrés dans la mystérieuse fraternité du désir». O Gatti aveva letto Bigiongiari, o ambedue avevano letto un terzo, di cui però non trovo traccia alcuna. Qualcuno, cari fratelli di desiderio, sa dirmi qualcosa di questo mistero? Non so dove ancorarmi.
lunedì 9 aprile 2018
Wanda Marasco a Capua
Ecco qua: domenica prossima (15 aprile 2018) non perdetevi il terzo incontro letterario in terra liburina con la nostra cara Wanda, se già vi siete persi il primo incontro a Santa Maria Capua Vetere (1° giugno 2017), curato dall'Accademia Palasciania, e il secondo a Teano (13 gennaio 2018), pur con me a presentarla; e poiché non c'è due senza tre, mi è stato chiesto di tripresentarla, ma essendo io esausto per gli sforzi accademici di questi giorni mi affiancherà in ciò Marilena Lucente; e se vi va preparate qualche domanda pure voi, sia su La compagnia delle anime finte sia sul romanzo in fieri dedicato a Ferdinando Palasciano e sua moglie Olga.
martedì 13 marzo 2018
Tutto il programma è ormai fuori programma!
Sulla locandina di Dal Paleolitico a Palasciania, in circolazione da tre mesi, è scritto che ogni puntata «trarrà spunto da uno di dodici accadimenti scelti» lungo la cronoscala 36.000 a.C. - 2018 d.C.
In realtà, sto narrando tutti gli accadimenti principali intercorsi tra il Big Bang e il presente!
Chiarirò domenica in occasione della puntata n. 7, Rinascimento. Johannes Gutenberg reinventa la stampa (circa 1440), che «i titoli erano stati pensati in ragione di un progetto originario che prevedeva la trattazione di un solo argomento a puntata, tralasciando tutti gli argomenti intermedi; ma la musa Clio mi ha preso la mano, e le lezioni si sono trasformate in un dettagliato flusso cronologico-narrativo continuo. Stasera, per esempio, narrerò i principali eventi dei quasi sei secoli compresi fra la metà del IX e la metà del XV».
In realtà, sto narrando tutti gli accadimenti principali intercorsi tra il Big Bang e il presente!
Chiarirò domenica in occasione della puntata n. 7, Rinascimento. Johannes Gutenberg reinventa la stampa (circa 1440), che «i titoli erano stati pensati in ragione di un progetto originario che prevedeva la trattazione di un solo argomento a puntata, tralasciando tutti gli argomenti intermedi; ma la musa Clio mi ha preso la mano, e le lezioni si sono trasformate in un dettagliato flusso cronologico-narrativo continuo. Stasera, per esempio, narrerò i principali eventi dei quasi sei secoli compresi fra la metà del IX e la metà del XV».
mercoledì 14 febbraio 2018
Sull'umana perfezione
Casomai mi voleste corteggiare
sappiate – in modo da non perder tempo –
a chi dovreste somigliare. Vedi
foto di séguito linkata. ■ Cercansi
stessa età, stessa stazza, stessi angelici
colori, stessa dolce aura serena,
stessa distribuzione del pelame.
Ma casomai non siate d’etnia nordica
va bene pure la versione arabica.
sappiate – in modo da non perder tempo –
a chi dovreste somigliare. Vedi
foto di séguito linkata. ■ Cercansi
stessa età, stessa stazza, stessi angelici
colori, stessa dolce aura serena,
stessa distribuzione del pelame.
Ma casomai non siate d’etnia nordica
va bene pure la versione arabica.
La piú romantica poesia di San Valentino nella storia della letteratura mondiale
Per il divertimento degli aficionados ecco l'ennesima «filastrocca cretina di prima mattina». In essa, nella fattispecie, modi cretini a parte, confluiscono (1) la ricerca di pubblico per le lezioni-spettacolo dell'Accademia Palasciania; (2) la ricerca di un assistente; (3) la ricerca dell'eterno amore. Non si può dunque dire che la mia non sia poesia di ricerca.
[Aggiornamento 2019: i miei gusti son mutati, non è più necessario che l'etnia sia vichinga, graditissimo anzi il sembiante arabo-indiano stile Mille e una notte.]
La piú romantica poesia di San Valentino nella storia della letteratura mondiale
[Aggiornamento 2019: i miei gusti son mutati, non è più necessario che l'etnia sia vichinga, graditissimo anzi il sembiante arabo-indiano stile Mille e una notte.]
La piú romantica poesia di San Valentino nella storia della letteratura mondiale
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