Ken Russell. |
[...] l’arte postmoderna non è male, diversamente dalla filosofia postmoderna. Anzi può essere molto buona. Ciò non deve stupire, in quanto l’aggettivo che designa un’epoca non significa necessariamente la stessa cosa qualunque sia il sostantivo cui si attacchi. Per esempio, la musica barocca non ha niente a che fare con la filosofia barocca: cosa mai c’entrerà L’incoronazione di Poppea di Monteverdi con il Discours de la méthode di Cartesio? Addirittura, la letteratura postmoderna presenta dei punti in comune con alcuni esiti rinascimentali, considerato che suoi tratti distintivi sono il polistilismo, il polilinguismo... [...]
E io che [...] in gioventú – per mia ignoranza – non sapevo neanche cosa significasse la parola postmoderno, nel 1995 fui cosí descritto da Marisa Bulgheroni sulle pagine dell’«Indice dei libri del mese» [...]:
I narratori piú attenti alla contemporaneità subiscono le suggestioni, per echi e riflessi, del postmoderno americano come linguaggio della contaminazione e della frantumazione culturale, ma anche di una fabulazione che rimescola generi e stili in chiave grottesca e opera eretiche revisioni della Storia. Senza queste suggestioni non avremmo – tra gli inediti finalisti – un testo eterogeneo e rutilante come Prove tecniche di romanzo storico di Palasciano, che – senza forse conoscere Il coltivatore del Maryland di John Barth, irriverente lettura del mito di Pocahontas – rovescia il rapporto con il passato azzerandolo fino a vedere nel Congresso di Vienna una sorta di Giochi senza frontiere.In realtà ero stato influenzato, piú che altro, da Lisztomania, un film di Ken Russell del 1975. Si tratta di una meravigliosa trasposizione delirante della vita di Franz Liszt [...]. La biografia di Liszt è sviluppata da Russell come una sorta di fumettone, saturo di erotismo felliniano ma soprattutto di anacronismi sfacciati e di citazionismo esasperato, dove Liszt è una sorta di rockstar, Wagner è un vampiro che gli succhia la musica dal collo, il Liszt degli anni felici è un Charlot con tanto di bombetta e bastone, il Liszt abate è beccato a letto con una amante dal papa – interpretato da Ringo Starr – che gli ordina di salvare il mondo andando a sfidare Wagner nel suo castello maledetto, dove il diabolico Wagner – che intanto ha sposato e plagiato la figlia di Liszt, Cosima – ha creato un mostro, il Superuomo, ma è egli stesso – dopo la propria morte – a trasformarsi in Hitler [muor qui anche Liszt]... e non vi dico il resto.
Qui il postmoderno, nella sua declinazione artistica di gioco combinatorio di materiali eterogenei, è completamente scoperto, è pura ironia, è talmente eccessivo che si capisce che il regista vuol prendere per il culo il postmoderno stesso. Il risultato è un capolavoro.
Tutt’altro è il postmoderno dei film di cassetta. Un postmoderno subdolo, perché gli anacronismi che ci sono non sono palesi, perlomeno non allo spettatore medio. Per rendere digeribile alla massa Shakespeare, nel film Shakespeare in love il regista – che non so chi sia – dipinge il grande drammaturgo rinascimentale come una sorta di sceneggiatore dei giorni nostri, quanto a spirito, pur senza mettergli una macchina per scrivere tra le mani. [...]
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