Tardi ho appreso della morte, avvenuta il 27 novembre scorso, di Ken Russell, che mi era caro soprattutto per Lisztomania
(qui il trailer, qui tutto). Di séguito riporto, in merito, un passo da Il ritorno di Astrea in astronave
, lezione n. 6 (tenuta il 7 novembre) del mio seminario-spettacolo De natura mundi
, di cui peraltro la lezione n. 8 s'è intitolata Chrisztomania
proprio in omaggio a Russell.
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Ken Russell. |
[...] l’arte postmoderna non è male, diversamente dalla filosofia
postmoderna. Anzi può essere molto buona. Ciò non deve stupire, in
quanto l’aggettivo che designa un’epoca non significa necessariamente la stessa
cosa qualunque sia il sostantivo cui si attacchi. Per esempio, la musica barocca
non ha niente a che fare con la filosofia barocca: cosa mai c’entrerà
L’incoronazione di Poppea di
Monteverdi
con il
Discours de la méthode di
Cartesio? Addirittura, la letteratura
postmoderna presenta dei punti in comune con alcuni esiti rinascimentali,
considerato che suoi tratti distintivi sono il polistilismo, il polilinguismo... [...]
E io che [...] in gioventú – per mia ignoranza – non sapevo neanche
cosa significasse la parola
postmoderno,
nel 1995 fui cosí descritto da
Marisa Bulgheroni sulle pagine dell’«Indice dei
libri del mese» [...]:
I narratori piú attenti alla
contemporaneità subiscono le suggestioni, per echi e riflessi, del postmoderno
americano come linguaggio della contaminazione e della frantumazione culturale,
ma anche di una fabulazione che rimescola generi e stili in chiave grottesca e
opera eretiche revisioni della Storia. Senza queste suggestioni non avremmo –
tra gli inediti finalisti – un testo eterogeneo e rutilante come Prove tecniche di romanzo storico di Palasciano,
che – senza forse conoscere Il
coltivatore del Maryland di John Barth, irriverente lettura del mito di
Pocahontas – rovescia il rapporto con il passato azzerandolo fino a vedere nel
Congresso di Vienna una sorta di Giochi senza frontiere.
In realtà ero stato
influenzato, piú che altro, da
Lisztomania,
un film di Ken Russell del 1975. Si tratta di una meravigliosa trasposizione
delirante della vita di
Franz Liszt [...]. La biografia di Liszt è sviluppata
da Russell come una sorta di fumettone, saturo di erotismo
felliniano ma
soprattutto di anacronismi sfacciati e di citazionismo esasperato, dove Liszt è
una sorta di rockstar,
Wagner è un vampiro che gli succhia la musica dal collo,
il Liszt degli
anni felici è un Charlot con tanto di bombetta e bastone, il
Liszt abate è beccato a letto con una amante dal
papa – interpretato da
Ringo Starr – che gli ordina di salvare il mondo andando a sfidare Wagner nel suo
castello maledetto, dove il diabolico Wagner – che intanto ha sposato e plagiato
la figlia di Liszt,
Cosima – ha creato un mostro, il
Superuomo, ma è egli stesso – dopo la propria
morte – a trasformarsi in
Hitler [muor qui anche
Liszt]... e non
vi dico il resto.
Qui il postmoderno, nella
sua declinazione artistica di gioco combinatorio di materiali eterogenei, è
completamente scoperto, è pura ironia, è talmente eccessivo che si capisce che
il regista vuol prendere per il culo il postmoderno stesso. Il risultato è un
capolavoro.
Tutt’altro è il postmoderno
dei film di cassetta. Un postmoderno subdolo, perché gli anacronismi che ci
sono non sono palesi, perlomeno non allo spettatore medio. Per rendere digeribile alla massa
Shakespeare, nel film
Shakespeare in love il regista – che non so chi sia – dipinge il grande drammaturgo rinascimentale come una sorta di sceneggiatore dei giorni nostri, quanto a spirito, pur senza mettergli una macchina per scrivere tra le mani. [...]